Il “realismo traumatico” dei luoghi di Geert Goiris

Il lavoro degli autori fiamminghi è la punta di diamante della ricerca fotografica contemporanea. Ne è esempio l’opera di Dirk Braeckman, artista che ha rappresentato il Belgio nell’ultima edizione della Biennale d’arte di Venezia e che ha sviluppato un linguaggio visivo che riflette sull’atto della visione e sullo statuto dell’immagine. Gli artisti di quell’area vivono felicemente il sodalizio che riesce a fondere estrema libertà e profondità espressiva.

Geert Goiris appartiene a quell’area. La sua mostra “World Without Us”, che si tiene in questi giorni alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, riunisce opere degli ultimi cinque anni: fotografie, immagini video, proiezioni di diapositive, dove, in ciascuna partizione, si specula sulla scomparsa di una realtà tangibile, viene posto alla nostra attenzione ciò che di questa realtà ci sfugge, il suo tassello mancante.

Il lavoro di Goiris è un catalizzatore di molteplici esperienze che richiama le sensazioni vissute nei luoghi in cui l’autore effettua le prese fotografiche. Al rientro dai suoi viaggi ogni fotografia risulta essere strutturata autonomamente, basata su suggestioni random che propongono un mondo al tempo stesso reale e onirico, dove viene evocato un trauma imminente o già accaduto, uno stato di non quiete in cui il familiare assume una presenza non familiare, che l’artista definisce di “realismo traumatico”.

Pagine del cahier Proliferation, Roma Publications 2014

Pagine del cahier Prophet, Roma Publications 2015

Quello di Goiris è uno sguardo transitorio, animato dal desiderio di ibridare sensazioni opposte: da una parte l’immersione nell’ambiente naturale e nel rapporto schizofrenico che l’uomo ha con esso, dall’altra parte la labile frontiera fra visibile e invisibile, fra il passato ed una sorta di preveggenza. All’interno delle opere, delle metafore, di questo autore, il paesaggio viene assorbito in una camera anecoica che ne registra e amplifica il respiro profondo, un ansimare sotteso, più che i rumori di superficie. Per contrappunto a questo stato d’ansia, noi possiamo vagare in un’allucinazione fantastica, in uno stato di estasi, ritrovare flora e fauna, architetture ed esseri umani, sotto una luce diversa. La vegetazione, isolata dal suo contesto, ci appare in uno strano rigoglio, i ghiacciai vengono irradiati da bagliori accecanti o sono immersi nella nebbia, le architetture evocano un confinamento o un collasso e i pochi esseri umani sembrano lottare per adattarsi all’ambiente, scrutandosi con espressioni indecifrabili, quando, viceversa, non hanno l’attenzione focalizzata su un altrove.

Il metodo di lavoro di Goiris si basa su una miscela di preparazione ed improvvisazione. In una prima fase vengono scelti accuratamente i luoghi in cui realizzare le fotografie, spesso siti poco accessibili, ostili ed insicuri, nei quali Geert si lascia trasportare dal piacere dell’imprevedibile. Il modo in cui viene a costruirsi il contraddittorio tra le immagini, è da lui ben espresso: “I luoghi che visito sono ovviamente di capitale importanza, perché sono unici, ma io non gioco la carta della loro specificità. Cerco di livellare tutte le loro qualità intrinseche, che siano geografiche, climatiche o sociali, per creare un corto circuito mentale che spinga alla fusione, senza soluzione di continuità, di caratteristiche diverse”. Più che i luoghi stessi, quindi, è la presa sensoriale e mentale esercitata da questi sull’artista, che risulta essere importante.

Pagine del cahier Peak Oil, Roma Publications 2017

Goiris sottolinea la relazione anacronistica tra l’oggetto e il suo ambiente. Con una ingombrante presenza fisica, questi oggetti sembrano essere nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, sembrano invadere luoghi indisposti ad ospitarli. E’ come se l’autore inciampasse sempre negli inquietanti scenari delle sue immagini, pur avendo la straordinaria capacità di far in modo che essi attirino la nostra attenzione, invitandoci alla libera associazione.

Per nulla interessato alla descrizione, ma piuttosto al contrappunto e alla discrasia, il lavoro di Geert trova poi, nello spazio delle pagine del libro, oltre che in quello espositivo, la misura dove poter sviluppare un percorso asincrono, basato sul principio delle associazioni intuitive. Questo lo si può riscontrare nei tre volumi Prolifération, Prophet e Peak Oil, editi, rispettivamente, nel 2014, 2015 e 2017, da Roma Publications, casa editrice olandese.

I tre cahiers di Geert Goiris nella loro confezione originale

Goiris è soprattutto maestro dell’interruzione e della repentina deviazione: evocando costantemente un fuori campo ed un fuori tempo, il flusso delle immagini è fratturato a tratti con sottile e spiazzante ironia, tutta fiamminga.

Il filosofo e critico d’arte Francis Smets, riflettendo sul lavoro di questo artista, ci suggerisce che alcune sue immagini funzionano come un hapax (legomenon): vanno intese alla stregua di una parola che occorre una sola volta nel corpus scritto di un autore. In sostanza un’eccezione che irrompe, improvvisamente ed imprevedibilmente, nel mondo che siamo abituati a esperire come un testo in costante esecuzione nello spazio e nel tempo.

La fotografia è spesso letterale, consequenziale, prevedibile. L’osservazione del lavoro di Goiris ci aiuta a modificare una percezione abitudinaria delle immagini fotografiche, trasportandoci in uno spazio mentale fertile, che genera continui rimandi e suggestioni. Questa esperienza, sia percettiva che fantastica, ci permette di assemblare immagini in cui aleggia un senso di familiarità, ma anche di scoperta, di alienazione, di confabulazione.

Qualche volta scompigliare le carte è necessario, ma stando attenti che anche questo non diventi gesto “di maniera”. In fotografia, insinuare dubbi e tensioni che non pongano mai il meccanismo di elusione dichiaratamente sotto lo sguardo del fruitore, ma che lo lascino sottilmente filtrare, non è cosa facile: chi se ne assume il rischio deve avere strumenti culturali adeguati ed aver sviluppato un esercizio narrativo non comune.