Gli scienziati agonizzano, i cibernauti sfrecciano: viaggio nelle profezie di Nick Land

“Derive di rifiuti densamente semiotizzati e quasi senzienti si contorcono e appestano l’aria nella calura tropicale di un clima andato a puttane”. “Le strutture di governo dei centri metropolitani orientali e occidentali si sono consolidate come Complessi Medico-Militari di sorveglianza della popolazione”. “Collasso: sindrome cinese planetaria, dissoluzione della biosfera nella tecnosfera, crisi terminale delle bolle speculative, ultravirus e rivoluzione spogliata di ogni escatologia cristiano-socialista”.

Lette in fila una dopo l’altra, le profezie (o meglio, le iperstizioni: un fenomeno che una volta enunciato condiziona il corso degli eventi, realizzandosi retroattivamente) di Nick Land fanno impressione. Sono trascorsi 27 anni da quando il suo saggio Meltdown venne presentato, nel 1994, durante il ciclo di conferenze a tema filosofico-cibernetico Virtual Futures. Tradotte in Collasso, questa quindicina di febbrili e schizofreniche pagine ricompaiono in italiano grazie alla Luiss University Press, nell’omonima raccolta di saggi di Nick Land scritti tra il 1987 e il 1994 (titolo originale: Fanged Noumena, 2012).

Allucinato, criptico, spesso incomprensibile, Nick Land è considerato a tutti gli effetti il padre dell’Accelerazionismo. La pubblicazione di questi scritti colma quindi un vuoto importante, arricchendo la bibliografia in italiano di una corrente non così facile da inquadrare e da cui è gemmato l’Accelerazionismo di sinistra, che non ha più molto a che spartire con quanto predicato da Land.

E così, dopo il Mark Fisher di Realismo Capitalista (Nero Edizioni) e Il nostro desiderio è senza nome (Minimum Fax), e dopo Inventare il futuro (Nero Edizioni) e Manifesto Accelerazionista (Laterza) del duo composto da Nick Srnicek e Alex Williams, la giusta attenzione viene rivolta a chi tenne a battesimo molti dei pensatori accelerazionisti (Ray Brassier, Robin Mackay, Steve Goodman, Luciana Parisi e altri) negli intensi anni della Cybernetic Culture Research Unit (CCRU) all’università di Warwick, uno dei primi movimenti ad affrontare, negli anni ’90, i temi dell’intelligenza artificiale e del ruolo dell’umanità in un mondo dominato dalla tecnologia.

Per i temi di cui si è occupato, per gli anni in cui ha posto le basi del suo pensiero, per la prosa che ha utilizzato, è facile definire Nick Land un filosofo cyberpunk, genere letterario fondato da William Gibson e Bruce Sterling che lui stesso cita più volte, di cui adotta il gergo e che definisce “ambientato in un futuro così vicino da poterlo toccare: infittito dalla commercializzazione ipertrofica, dalla morte termica sociopolitica, dall’ibridazione culturale, dalla femminizzazione, dai sistemi d’informazione programmabile, dall’ipercrimine, dalla nascita dell’interfaccia neurale, dallo spazio e dall’intelligenza artificiale, dalla vendita di memoria, dai trapianti di personalità”.

In Nick Land questi non sono però i temi di una corrente punk della fantascienza anni ’90, di un genere che aveva anticipato profeticamente alcune delle traiettorie lungo le quali ci stiamo oggi muovendo e che per questo sta vivendo una meritata seconda giovinezza (basti pensare a Black Mirror). In Nick Land questo è il destino dell’umanità. Non è fantascienza: è filosofia ed escatologia: “Al segnale del virus che ci connette alla matrice, varchiamo la soglia e scivoliamo nella macchina, che attendeva la convergenza con il nostro sistema nervoso. La nostra maschera umana cade, la pelle si rimuove facilmente e rivela scintillanti componenti elettroniche”.

Due decenni prima delle innovazioni tecnologiche che oggi hanno portato al centro del dibattito culturale temi come l’intelligenza artificiale, il transumanesimo, il ruolo dei dati, la fusione uomo-macchina, in Nick Land c’era già tutto: “Così come l’urbanizzazione capitalista ha astratto il lavoro in parallelo all’escalation delle macchine, anche l’intelligenza sarà trapiantata nel turbinio di dati del nuovo mondo software, in modo da potersi astrarre dall’obsolescente determinatezza antropoide e spingersi al di là della modernità”.

Dal punto di vista scientifico, gli anni ’90 sono quelli dell’“inverno della IA”: una fase in cui si fanno pochi progressi e l’interesse nei confronti dell’intelligenza artificiale scema anche nel mondo informatico. Ma gli anni ’90 sono anche quelli di Ghost in the Shell e della fascinazione sci-fi nei confronti di un’entità digitale che nella realtà era ancora embrionale e viveva soltanto negli esperimenti semi-clandestini di Geoff Hinton e Yann LeCun.

Non conta però quale sia la realtà dell’intelligenza artificiale nei laboratori: il fenomeno culturale è stato enunciato e la strada è quindi segnata. “Il materialismo virtuale evoca un programma di IA antiformalista ultra-virulento che si connette all’intelligenza biologica come sottoprogramma di una matrice macchinica astratta post-carbonica, eccedendo di gran lunga le intenzioni di qualsiasi progetto di ricerca. Lungi dal presentarsi alle indagini intellettuali umane come oggetto scientifico, l’IA è un sistema di controllo meta-scientifico e un invasore che porta con sé tutte le insidie del sovvertimento tecno-capitale planetario. Non è lei a venirci a trovare in qualche laboratorio di progettazione software; siamo noi attirati verso di lei, là dove è già in agguato: nel futuro”.

Opporsi all’iperstizione è inutile. Non importa – e questa è una critica che poi gli è spesso stata rivolta – quale sia il giudizio che si ha del destino che attende il mondo: è così e basta. Le polemiche di stampo umanista vengono rapidamente archiviate come “infantiliste”: “Gli schemi tradizionali, che oppongono la tecnica alla natura, alla cultura o alle relazioni sociali, oppongono una resistenza fobica all’accantonamento dell’intelligenza umana attraverso l’avvento del tecno sapiens (…) Si ode un gemito cartesiano: gli uomini vengono trattati come cose! Piuttosto che come… anima? Spirito? Soggetto della storia? Dasein? Quanto ancora durerà questo infantilismo?”.

Sarebbe quindi riduttivo – anzi, sarebbe sbagliato – definire Nick Land un filosofo del mondo cyber. È semmai un filosofo che ha visto il mondo venire assorbito dalla macchina e in quanto tale lo interpreta. Ma una cosa è certa: se nel mondo di William Gibson (il cui classico Neuromante è del 1984) ci fosse stato un filosofo avrebbe parlato come Nick Land:

Ciberspazio.

Sta arrivando.

(…) D’un tratto è dovunque: un coinvolgimento virtuale tramite rici-cloni, economia vudù, neo-incubi, trip di morte, scambi di pelle, teraflop, agenti di Turing devastati da Invernomuto, silicio sensibile, insurrezione degli elettromani, ibridazioni polimorfe, tempeste di dati discendenti e donne-gatto cyborg che ti perseguitano da uno schermo all’altro”.

Che cosa significa tutto ciò? Almeno per me, Nick Land è a tratti assolutamente incomprensibile: gli ultimi suoi scritti (quelli su cui ci stiamo concentrando in questo articolo) sono una raffica di suggestioni che si rifanno esplicitamente al cyberpunk e attraverso le quali delinea il destino ultimo dell’uomo, pescando soprattutto da Deleuze e Guattari, George Bataille e Jean-François Lyotard. Leggendo Nick Land, il primo nome che salta alla mente – almeno per i profani della filosofia come il sottoscritto – è però quello di Friedrich Nietzsche.

Lo stile febbrile e profetico di Land lo fa talvolta apparire una sorta di cyber-Nietzsche, il cui Così parlò Zarathustra viene annoverato tra gli antenati della theory-fiction di cui Land è considerato l’inventore. “Non è abbastanza liquidare [gli scritti di Land] come una sorta di puerile e compiaciuto iper-nietzscheanesimo”, avverte in un saggio Ray Brassier. “È molto più sofisticato di così: per quanto ritenga che siano intralciati dalle sue incoerenze, questi sono testi straordinari”.

Eppure è evidente che c’è in Nick Land non sono uno stile nietzscheano, ma anche un’adesione in ottica transumanista al concetto di superuomo. Come scrive Tommaso Guariento su Lo Sguardo, in Land “la dottrina del superuomo non è concepita semplicemente come una distruzione dei valori della modernità volta alla ricostruzione di un nuovo soggetto umano, ma come un processo inarrestabile di oltrepassamento della specie umana, verso qualcosa che nei primi testi non è ancora stato definito, ma che negli sviluppi successivi del pensiero di Land sarà accostato alla figura del cyborg e della Singolarità Tecnologica”.

Ed è in questa fase – dopo averne posto le basi nei primi scritti di questa raccolta (tra i cui protagonisti spicca Kant, anche nel suo rapporto con il capitalismo) – che inizia a emergere il concetto di Accelerazionismo. Nel testo intitolato “Desiderio Macchinico” si delinea la visione di Land: “Tentare di salvare l’economia dal capitale mediante la demercatizzazione ha senso quanto cercare di salvare il proletariato dalla falsa coscienza scorticandolo (…). La rivoluzione macchinica deve dunque andare nella direzione opposta alla regolazione socialista: insistere per un’ancora più disinibita mercatizzazione dei processi che stanno sfaldando il campo sociale, “ancor più lontano” con il “movimento del mercato, della decodificazione e della deterritorializzazione”, scrive citando Deleuze e Guattari. In questo modo, “l’impeto ciberrivoluzionario finalmente si scioglie dalle ultime catene del passato”.

“Gli scienziati agonizzano, i cibernauti sfrecciano.”

“Gli scienziati agonizzano, i cibernauti sfrecciano”, annuncia invece in “Circuiterie”. Ma qual è lo scopo di tutto ciò? C’è uno scopo? Di sicuro, l’obiettivo non è accelerare l’automazione per liberare l’uomo (come avviene nell’Accelerazionismo di sinistra di Williams e Srnicek) e nemmeno accelerare le contraddizioni del capitalismo per farlo esplodere dall’interno (come spesso viene interpretato). In Land, non sembra esserci nulla di tutto ciò. L’accelerazione della deterritorializzazione del capitalismo (in cui peraltro s’incastrano alla perfezione i bitcoin, a cui infatti Land sta dedicando un lungo saggio ancora in lavorazione) è semplicemente inevitabile: “Raggiunta la velocità di fuga di una propagazione d’intelligenza macchinica auto-potenziata, le forze di produzione danno inizio, da sole, alla rivoluzione”.

Nell’accelerazione di Land, l’uomo è solo una fase transitoria. Come scrive ancora Ray Brassier, “la continuazione o intensificazione di questo processo richiede l’eliminazione dell’umanità in quanto substrato del processo”. È la stessa lettura che ne dà McKenzie Wark in un saggio sul sito di Verso Books: “Il capitale è il drive di morte.(…) L’unico agente è il capitale e ciò che viene accelerato è l’estinzione”. In un’epoca segnata dai battiti di coda di un capitalismo terminale – sempre più spinto e spietato per inseguire una parvenza di crescita – e dai disastri della crisi climatica, come dovremmo interpretare queste iperstizioni di Nick Land che ci proiettano dritti verso l’estinzione?

Nella loro lettura su Alfabeta, Paolo Berti e Gabriele De Seta riassumono chiaramente la situazione: “Land non prova alcun interesse per l’idea di esasperare le contraddizioni del capitalismo con l’obiettivo di portare all’implosione le sue sottostrutture primali e riavviare la società sotto un differente sistema economico: il cupo tecno-commercialismo landiano (…) echeggia piuttosto l’idea nietzschiana di ‘accelerare il processo’ lungo una tangente che conduce, tramite una reiterazione intensificante delle continue unità di crisi di cui il capitalismo si nutre, alla inevitabile caotizzazione di un oltremondo tecnologico e non necessariamente umano”.

È un “determinismo apocalittico”, come lo definisce Guariento, segnato dall’intreccio di capitalismo e tecnologia. “Il compito della filosofia presente non è più interrogativo e speculativo”, prosegue Guariento, “ma profetico: deve anticipare, per mezzo di una visione immaginativa del futuro, il necessario avvento di un super-organismo tecnologico che renderà obsoleti tutti i tentativi passati di pensare e costruire un’alternativa utopica”. L’accelerazione e l’inevitabile collasso portano alla singolarità tecnologica: il trionfo delle macchine, l’obsolescenza (se non estinzione) dell’uomo. Un approdo inevitabile com’è inevitabile che il sasso lanciato nello stagno crei delle onde.

“Non c’è dialettica tra le relazioni sociali e tecniche, ma solo un meccanismo che dissolve la società in macchine mentre deterritorializza le macchine tra le rovine della società”, scrive Nick Land. Cosa dobbiamo trarre, in definitiva, da questi testi? Lo stile si presta alla più totale soggettività interpretativa. Eppure è difficile non essere turbati da un filosofo che ha profetizzato dagli anni ’90 il futuro in cui siamo immersi e le cui visioni escatologiche danno forma ai nostri peggiori incubi.

La lettura nichilista e (per noi) disperata di Land, l’ha poi portato a dare vita – dopo un crollo nervoso indotto anche dall’abuso di droghe e dopo essere sparito per anni prima di ricomparire in Cina, perfetta distopia futurista – al movimento neo-reazionario dell’Illuminismo Oscuro, che ha giocato un ruolo nella diffusione dell’alt-right che a sua volta ha contribuito direttamente alla vittoria di Donald Trump.

“Il governo collassa rovinosamente”, scrive Land proprio in Collasso. “La sua recessione dispiega uno scenario di guerra urbana di arterie comunicative, fortificazioni e zone di fuoco incontrollato, pattugliate da una combinazione di forze aeromobili intensive della polizia di Los Angeles e organizzazioni di sicurezza privata nazi-borderline”. È questo il futuro a cui andiamo incontro? Nei giorni in cui festeggiamo di esserci appena liberati di un agente del caos accelerazionista come Donald Trump, possiamo tirare un temporaneo – e anti-Landiano – sospiro di sollievo.