La complessità frattale dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo

Va prendendo forma in questi ultimi mesi un nuovo passaggio di stato nella storia lunga e ricca dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo, che oggi in Europa si possono considerare una delle aree urbane a più alta concentrazione di biodiversità culturale e maggiore intensità di spinte innovative. È una forma leggera e insieme potente, come quella degli aerei che qui cent’anni fa costruiva Giovanni Caproni, idolo di Hayao Miyazaki, e davvero non è difficile, passeggiando per questi viali tra i capannoni industriali riconvertiti alla produzione culturale, respirare un’atmosfera che in molti sensi non ha nulla da invidiare all’immaginario dello Studio Ghibli.

Ai Cantieri, in un’area di 55.000 mq, convivono al momento e sempre più spesso e più significativamente cooperano più di una ventina di soggetti pubblici e privati: l’Institut Français, il Goethe Institut, il Goethe Zentrum, la Comunità Ellenica Siciliana, il Verein Palermo-Düsseldorf, l’Accademia di Belle Arti di Palermo, Arci, Tavola Tonda, Spazio Franco, l’Istituto Gramsci Siciliano, il laboratorio di scenotecnica del Teatro Biondo stabile di Palermo, il Teatro Ditirammu, il Centro Sperimentale di cinematografia, il Centro Internazionale di Fotografia, le associazioni culturali Lumpen, Skené e G273, Legambiente Sicilia, l’ONG Bibliothèques sans frontières e il community hub Cre.Zi. Plus, oltre alla sala cinematografica pubblica Vittorio De Seta e allo spazio espositivo ZAC – Zisa Arte Contemporanea.

Si può dire che la storia recente dei Cantieri cominci nel 2011 con una Lettera aperta al futuro Sindaco di Palermo da parte del movimento civico “I Cantieri che vogliamo”. Si apre così una stagione di attivismo con un obiettivo chiaro, APRIAMO (come recitano gli sticker che di lì a poco invadono la città), che grazie al coinvolgimento di artisti e intellettuali palermitani insieme ad altri confluiti da tutta Italia porta a una fitta serie di assemblee cittadine e attività culturali, nonché alla riapertura in autogestione del cinema De Seta e del padiglione Tre Navate.

A dispetto di quella effervescenza nutrita dalla dimensione partecipativa delle iniziative, la successiva fase costituente si inceppa però sull’ipotesi di lavoro controversa, e oggi auspicabilmente scartata, di un modello organizzativo dei più tradizionali, con un organismo di gestione centralizzato, che si sarebbe presumibilmente dotato della classica figura di un direttore artistico dotato di poteri discrezionali. Nulla di più distante dall’orizzontalità di assemblee memorabili non solo per la qualità del dibattito, ma anche per l’attenzione alla sfera relazionale ed emotiva, con il manifestarsi di una spontanea disponibilità alla dinamica del consenso.

Sono elementi che sembrano invece riverberarsi nel percorso paziente e concorde a cui in questi ultimi mesi hanno partecipato e contribuito attivamente a più livelli tutti i “condòmini” (come amano chiamarsi, tra il serio e il faceto) dei Cantieri culturali, che oggi si stanno auto-organizzando come una comunità.

Un passaggio importante in questo processo di auto-organizzazione è avvenuto a dicembre grazie all’incontro “Comunità che si organizzano”, a cura di Clac, Consorzio Arca e Avanzi con il sostegno di Fondazione con il Sud, tenutosi il 14 e il 15 dicembre negli spazi di Cre.Zi Plus. I partecipanti a un workshop sull’organizzazione dei Cantieri facilitato da Davide Leone di U’Game si sono interrogati su criteri e linee guida per la definizione di una forma giuridica capace di coniugare la spontaneità dell’organizzazione dal basso e i requisiti necessari per un’interlocuzione istituzionale, esplorando gli elementi desiderabili e quelli da evitare nella relazione tra l’aspetto formale e quello sostanziale dell’organizzazione. Altro tema su cui soffermarsi riguardava la tensione tra la costruzione di identità e la permeabilità di una realtà che, in tutte le fasi più recenti della sua rinascita, ha indicato nell’apertura verso l’esterno – il quartiere, la città ecc. – un aspetto chiave della sua ragion d’essere.

Gli elementi a mio avviso significativi emersi dalla restituzione delle due giornate di lavoro sono numerosi. Sul piano della governance, le comunità dei Cantieri stanno dando vita a un’organizzazione di secondo livello capace di riunire e coordinare tutti i soggetti coabitanti tenendo conto della diversità dei loro statuti e delle loro identità, che possa costituire l’interlocutore di riferimento dell’amministrazione comunale.

Emergono innanzitutto i tratti maturi di una concezione più raffinata dell’apertura, nel senso dell’inclusività e dell’accessibilità culturale, ovvero dell’abbattimento delle barriere non solo materiali ma anche e soprattutto immateriali, cognitive, emozionali che hanno potuto rendere questo luogo una cittadella proibita incastonata tra due quartieri caratterizzati da un forte disagio sociale come Zisa e Noce. In questo senso, i Cantieri culturali vogliono essere attraversati e contaminati, pur mantenendo la loro natura di spazio raccolto, la dimensione dell’hortus che è congeniale alla produzione e alla partecipazione culturale perché crea le condizioni dell’accudimento e della cura, mantenendo vivo e denso uno spazio disponibile – ormai raro – all’attenzione concentrata.

Allo stesso modo è stato evidenziato a più riprese come l’identità dei Cantieri culturali stia soprattutto nella loro diversità, cioè nel fatto che in uno stesso spazio coabitano forme e comunità diverse per temi chiave, modelli organizzativi, reti relazionali, pubblici. Se negli intrecci e nelle interazioni nel quadro di un’identità comune riconoscibile si intravede l’opportunità di innescare fenomeni di amplificazione e moltiplicazione, la compresenza di identità singolari forti è vista come una precondizione necessaria da garantire e come un plusvalore.

C’è insomma una consapevolezza forte del fatto che quella dei Cantieri culturali è un’organizzazione di organizzazioni, caratterizzata da una complessità frattale. Una complessità, cioè, che si ripresenta a più livelli: da quello dei singoli che animano i luoghi, e che come individui sono essi stessi soggetti complessi, coappartenenti a più sfere relazionali, a quello degli enti pubblici e privati che condividono questi spazi e che con le loro comunità presentano una ricchissima diversità di forme istituzionali, modelli di organizzazione, pubblici, reti.