Rosetta torna in classe, a che punto è il conflitto? Con Aboubakar Soumahoro, Edoardo Albinati, Francesca De Masi e Pietro Vereni

Quando è stato pensato il percorso concettuale di Rosetta 2018, Classe/ceto sono stati tra i primi temi che abbiamo individuato. Nel 2017 “periferia” era la parola sulla bocca di tutti, in parte perché era stato sviluppato un piano di rafforzamento delle attività dei municipi in quelle aree, in parte perché l’onda lunga della crisi aveva finalmente manifestato appieno il suo potenziale nefasto, di distruzione delle ricchezze e dei desideri. La linea della differenza che andava facendosi sempre più marcata ed individuabile, stava trasformando il ceto in classe, nuovamente.


soumahoro al mercato lorenteggio

Sabato 15 settembre 2018 alle 18.30 Rosetta torna in classe con Aboubakar Soumahoro al Mercato Lorenteggio, Milano.

Quali sono le classi sociali oggi? Quali le forme di sfruttamento? Possediamo degli antidoti? In che modo il genere e le migrazioni incidono su questa stratificazione?

Partecipano: Aboubakar Soumahoro, Edoardo Albinati, Francesca De Masi, Pietro Vereni


Quella divisione geografica, infatti, non segue traiettorie toponomastiche ma linee di valore, di possibilità e capacità economica, che si amplificano se si ragiona in termini intersezionali con categorie quali il genere, la provenienza, la capacità fisica e psichica. Quell’idea di periferia della città che viene riprodotta, su scala nazionale, con il processo di “meridionalizzazione” del Sud del paese, o di depauperamento delle aree interne, e poi ancora, su scala più ampia, nella divisione invisibile del Mediterraneo, e in quel tropico che di fatto divide il mondo in due classi differenti, il grande Nord e il grande Sud.

Con questi pensieri è stato semplice individuare relatori che riuscissero a tracciare quelle traiettorie, da quelle micro dei contesti famigliari a quelle più ampie dei movimenti globali dei lavoratori.

Edoardo Albinati ha raccontato la famiglia e quell’istituzione che dovrebbe se non eliminare, quantomeno ridurre le diseguaglianze, che è la scuola. La sensibilità dello scrittore non solo permette di restituire una fotografia del passato e delle traiettorie di vicinanza, ma anche provare a immaginare in che modo le trasformazioni culturali possono cercare di ridurre queste distanze e rendere più opaco quel confine tanto netto. Un interrogativo che torna anche nei lavori di Piero Vereni, che cercherà di ragionare sul cambiamento intercorso negli anni recenti che dalla cosiddetta “cetomedizzazione” della società ha (forse) portato alle dinamiche odierne di polarizzazione sociale.

Francesca de Masi, nel suo lavoro quotidiano che è anche politico ragiona spesso sulle condizioni materiali delle vite delle donne che incontra. Spesso si tratta di donne migranti, sovente fuoriescono da traiettorie di tratta o da episodi di prostituzione. In che modo genere e provenienza amplificano queste differenze? Una domanda che torna e si ripropone ancora più forte nei confronti dell’ultimo ospite:

Aboubakar Soumahoro. Sindacalista di USB migranti, sta combattendo quotidianamente la battaglia contro la messa in schiavitù, de facto, del bracciantato agricolo migrante, costantemente sotto il ricatto dello status (i documenti) che permette libertà e lavoro. Quelle storie al limite somigliano molto a quelle che ho ascoltato nei lavori al margine, sulle panchine di quelle vie che finiscono in parchi agricoli, dove la metropoli sfuma in campagna. Ho imparato ad ascoltare la fatica del non possedere nulla, quello che Bourgois chiama “abuso lumpen”, ossia quella condizione di patimento totale legata alla deprivazione economica ed emotiva, un insieme di vulnerabilità, oppressione e sofferenza. Ed era chiaro che quelle vite, quelle traiettorie, non potevano collocarsi in una categoria stretta e opaca come quella di ceto. Eppure la letteratura europea ha dichiarato la fine delle classi sociali.

Questo è avvenuto sia nelle parole dei politici (Blair affermava: “we are all middle class now”) che nelle pratiche di consumo. Le migrazioni prima, e la crisi economica poi, hanno riportato al centro del dibattito il tema della diseguaglianza, la scomparsa del ceto medio, e il ritorno delle classi, con nuove sfumature (si pensi solamente agli effetti della crisi dell’industria, alla digitalizzazione del lavoro, alla classe creativa tanto decantata da Florida, tramutatasi in classe disagiata in meno di  un decennio).

Allo stesso tempo, nel discorso pubblico, si è rafforzata la consapevolezza che la concentrazione di capitali (sociali, economici, culturali) in élites di potere hanno consolidato l’idea (declinata soprattutto nel dibattito politico) che ci fosse una vera propria casta (e una concentrazione di poteri e di forme di capitali) che sta aumentando il proprio profitto a scapito del resto della popolazione.

Quello che colpisce è che quel conflitto di classe che era storicizzato un tempo tra borghesia e proletariato, e che oggi potrebbe forse declinarsi tra grandi gruppi finanziari, élites economiche e il resto della popolazione non si sviluppa più nei modi e nelle forme del passato. Anzi, il “nemico” della diseguaglianza non viene intercettato come tale. Il conflitto di classe oggi si annida su quella linea di protezione dei privilegi del ceto medio, che cerca di combattere le fragilità sociali; i penultimi contro gli ultimi. Un conflitto che si sta esacerbando sempre più, e che spesso confonde il tema strutturale dell’accesso alla ricchezza con la linea del colore.

Un razzismo che si annida nell’idea rapace che in periodi di welfare fragile, meno vulnerabili avranno accesso al sistema di supporto, più ci si potrà spartire tra gli altri. Un pensiero dello Stato-salvadanaio, in cui l’accesso ai sussidi diventa centellinato e non rinnovabile. Una discriminazione economica che si trasforma spesso in xenofobia, poiché la provenienza diventa sineddoche di uno status economico, forse della classe. Proveremo a discutere tutto questo, e a capire se e quali sono i possibili antidoti di un modello rischioso che si sta trasformando in un reale pericolo per la tenuta democratica, tanto sul piano micro, quanto su quello macro.