Imprese culturali: (ri)forma e sostanza

riforma, impresa

Parlando di forma e sostanza Giovanni Lindo Ferretti cantava “decidi, cosa, come, quando” e forse sono le stesse domande che sorgono guardando al mondo dell’imprenditoria culturale, nell’ambito delle evoluzioni normative che si stanno registrando di recente.

Cosa aspettarsi? Come inciderà la nuova disciplina? Quando potrà dirsi concluso questo percorso?

La riforma del Terzo Settore di cui avevo parlato in un articolo di qualche mese fa sta per arrivare a compimento ed anche, quasi tutti, gli attesi provvedimenti attuativi sono stati pubblicati in gazzetta ufficiale.

Quali novità per le imprese culturali?

Quanto alla forma troviamo sicuramente degli appigli per le organizzazioni senza scopo di lucro, quanto alla sostanza occorrerà valutare come all’applicazione pratica il nuovo impianto normativo sarà effettivamente in grado di incidere su questo mondo.

Il Codice del Terzo Settore – pietra angolare delle riforma – introduce ad esempio una nuova categoria di enti denominati “Enti del Terzo Settore” (es. associazioni riconosciute e non riconosciute, fondazioni, reti associative, etc.) ricomprendendo fra i settori di attività nei quali possono operare gli “interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio”, l’ “organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale” e di “di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso”.

Di fatto viene dato un esplicito riconoscimento al valore di queste attività che vengono ricomprese fra quelle di “interesse generale” insieme – fra le altre – alla formazione, ai servizi socio-sanitari, all’accoglienza umanitaria, alla beneficenza ed alla ricerca scientifica.

Per rientrare in questa nuova categoria – e conseguentemente avere accesso anche alle agevolazioni introdotte dal legislatore – gli enti che decideranno di intraprendere questo percorso dovranno oltre ad essere in possesso dei requisiti previsti dal codice, cui magari dedicheremo un approfondimento specifico, e richiedere l’iscrizione al Registro unico nazionale del terzo settore.

Il codice cerca di mettere inoltre un po’ d’ordine tra le diverse leggi speciali in vigore – vengono ad esempio abrogate le norme che disciplinavano le Onlus e le Associazioni di Promozione Sociale – anche se queste ultime sopravvivono comunque alla riforma pur venendo meno la disciplina originaria (so che non è un concetto immediato ma è cosi).

Inoltre viene fatta chiarezza sul tema delle “operazioni straordinarie”, cosi di permettere ad associazioni e fondazioni di effettuare trasformazioni, fusioni e scissioni, esigenza sempre più comune principalmente legata a ragioni di governance.

Per quelle organizzazioni che si muovono con dinamiche prettamente imprenditoriali invece, va posta l’attenzione sul decreto che interviene sulla disciplina dell’impresa sociale ex lege che stabilisce come questi enti, possano realizzare anche “interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio” ed occuparsi dell’organizzazione e gestione di attività culturali, turistiche o ricreative di interesse sociale.

Cosa cambia per le imprese sociali?

La possibilità di distribuire limitatamente dividendi, introdotta dal decreto (per quelle costituite in forma societaria), potrebbe consentire di intercettare nuove fonti di finanziamento ragionando in termini di investimento e non solo di grant; il reperimento di capitali privati potrebbe inoltre essere incoraggiato dalle agevolazioni fiscali previste per gli investitori (su cui comunque si attende il placet della Commissione Europea) e dalla possibilità di raccogliere capitali anche attraverso piattaforme di crowdfunding equity based che vedrebbero tra i soggetti abilitati anche le imprese sociali.

Vale la pena soffermarsi brevemente anche su un altro provvedimento (la proposta di legge C. 2950) – che nel tempo è stato opportunamente “destartuppizzato” – dedicato alle imprese culturali e creative che intende favorire il “rafforzamento e la qualificazione dell’offerta culturale nazionale come mezzo di crescita sostenibile ed inclusiva (…)”. E’ interessante notare come il testo non guardi tanto alla forma giuridica delle imprese, quanto piuttosto alla sostanza delle attività poste in essere, focalizzando l’attenzione sulla mission di quei soggetti impegnati nello sviluppo di nuovi prodotti culturali, a prescindere dalla forma organizzativa.

Quando? Mentre il percorso della riforma può dirsi (quasi) concluso, il provvedimento sulle imprese culturali e creative necessita ancora di alcuni passaggi parlamentari.

Rappresenta comunque un altro passo verso il superamento della rigida bipartizione profit/non profit, classificazione che difficilmente aderisce alla realtà di fatti dove – anche in ambito culturale – si vanno diffondendo delle formule imprenditoriali più sofisticate che dovrebbero considerare come prioritario non tanto l’appartenenza ad una specifica categoria, quanto la generazione di un impatto positivo e misurabile, tema su cui la riforma cerca di porre la sua attenzione.