Immuni, l’app che fa impazzire il mondo e non serve a nulla contro il Coronavirus

Ho fatto un esperimento: quanti difetti riesco a trovare in 1 minuto circa Immuni, l’app scelta dal nostro governo per il Contact Tracing, per fronteggiare la pandemia nella famigerata Fase 2?  (Non si sa perché, quando la si menziona, tocca mettere la maiuscola: Fase 2)

Mi son sforzato di non barare: non ho guardato gli articoli che sono usciti: poi lo farò e farò i confronti con quello che dicono gli altri.

Iniziamo:

  • non è open source (almeno non sembra che lo sarà);
  • non si scarica da un sito governativo;
  • apre le porte Bluetooth Low Energy (BLE) che sono un colabrodo di sicurezza;
  • esclude intere fasce di popolazione (devi avere uno smartphone, lo devi sapere usare, ect);
  • è volontaria, e quindi divide (che succede se non voglio usarla, o se non ce l’ho? gli altri mi tireranno le pietre?);
  • è gratis (leggi: il codice è di qualcun altro, non del governo italiano, che ne avrà, al massimo, una licenza;
  • la manutenzione la farà qualcun altro, variando versioni etc;
  • qualcun altro beneficerà dei dati che genererà; e così via);
  • non la scaricherà mai il numero di persone che servirebbe che la scaricassero per avere dei benefici;
  • è a rischio di una enormità di falsi positivi, e di scherzi (prank, trollate) clamorosi;
  • non se ne capisce il senso (ricevere l’alert cosa comporta? il tampone? il trattamento? cosa?).

Il minuto è già finito, e io mi sento come se avessi solo iniziato a scalfire la superficie della questione. Mi sarei comunque fermato lo stesso per lo sconforto. Sarebbe stato meglio se avessero scelto l’altra app candidata? O un altra app in generale? Forse un po’. Ma non tanto.

Perché sarebbe comunque la domanda sbagliata. Non si tratta di chiedere, infatti, quale app avremmo dovuto scegliere, o addirittura produrre.

Si tratta, invece, di comprendere che tipo di problema sia questo che stiamo vivendo, e come lo vogliamo affrontare: non come regione, nazione o aggregazione nello scacchiere geopolitico mondiale, ma come civiltà.

Eccoli, sono arrivati: i problemi complessi. Sono irriducibili.

Non c’è una app che li possa risolvere o mitigare. Uno o mille hackathon non servono a nulla. Le scorciatoie delle soluzioni puntuali sono inutili. E sì, lo capiamo. Non sapete che farci con i problemi complessi: non siete (e non siamo) preparati.

Un governo di populisti vive di soluzioni puntuali.

Stiamo ovviamente parlando sia di quelli alla maggioranza, sia di quelli all’opposizione. Questa è una caratteristica del populismo: quando detta l’agenda della comunicazione e dell’azione, trasforma tutti in populisti.

Sono stati loro! Sono disonesti! Hanno rubato! Ci tagliamo lo stipendio! Decidiamo con la rete! Eccetera, con tutti gli slogan e i contro-slogan che abbiamo sentito in questi anni: lo schiamazzare in cui si è trasformata la politica.

Per i populisti la soluzione esiste eccome, e deve entrare in uno slogan.

Avete bisogno di soluzioni, da spargere a piene mani, lo sappiamo: ne va del vostro consenso. Non avete mai avuto a che fare con la complessità: non sapete che farci.

<<Trovatemi una soluzione perdìo! Cosa gli dico a quelli là, altrimenti! Che sia un divieto, una app, una riapertura, o un’altra cosa qualsiasi! Devo mantenere il potere / farmi eleggere / fare opposizione!>>

L’App sarà fondamentale per affrontare la Fase 2! (maiuscola). E invece no.

Lo spero, eh. La speranza è l’ultima a morire: e abbiamo già visto troppi morti. Anzi, non li abbiamo neanche visti: nel delirio delle soluzioni puntuali possiamo fare la spesa al supermercato uno ad uno, ma non possiamo celebrare i defunti.

Lo spero, ma non lo credo: i problemi complessi non hanno soluzione, sono irriducibili. Sono, tecnicamente, una tragedia. La tragedia non ha soluzione.

Ma alla tragedia segue l’agnizione: il riconoscimento. Il protagonista della tragedia riconosce la sua identità, ovvero condizione che lo ha portato alla tragedia.

È un momento potentissimo, perché corrisponde ad un “cambio di stato”. Nel senso che cambia il sistema immediatamente, come quando si cambia prospettiva, atteggiamento, o si capisce, finalmente, qualcosa.

Data la tragedia, il sistema cambia. È necessario. Perché sennò non si può sopravvivere.

Si muore, proprio come nelle tragedie: ci si suicida, si ammazza qualcuno, ci si lascia morire, magari con un bel monologo che rimanga nella storia. O cambia il sistema, per sopravvivere, per vivere insieme nel mondo in cui la tragedia esiste.

Il sistema, tanto, cambia sempre: la differenza è il numero di morti, di sofferenza, di disagio che ci si lascia dietro. Siamo davanti a un problema complesso, che è una tragedia. E i problemi complessi si affrontano al livello del sistema.

Mettiamoci bene in testa che il problema non è il Covid19. È l’accesso alla sanità, al benessere, alla ricchezza, alle opportunità. Il problema è che, con la trasformazione delle nostre identità, soprattutto in senso digitale, cambia/deve cambiare/può cambiare il nostro rapporto con l’ambiente e con gli altri esseri umani, con le aziende, con le organizzazioni, con le istituzioni.

In questo momento non serve una app (che, oltre tutto, visto il mio sconforto iniziale, sembra essere un rafforzativo del sistema di partenza, non di certo un cambiamento). Quello che serve è finirla di trattare le persone come bambini idioti (perché i bambini, invece, capiscono benissimo) e dare un senso alle cose.

Non l’ennesima cosa incomprensibile. La app è questo. L’ennesima soluzione senza senso. L’ennesimo divieto di andare a correre – anche se siete soli in mezzo a un prato –, di fronte al permesso di stare in fila al supermercato.

L’app è l’ennesimo carabiniere che mi ferma per il controllo, che poi mi passa la penna che hanno usato tutti gli altri prima di me, magari anche mettendosela in bocca, che forse è la cosa più pericolosa che tanti di noi hanno fatto in questi giorni.

L’app è l’ennesima soluzione incapace di costruire senso. E, invece, questo è quello che dovremmo fare.

<<Cittadini, buongiorno, sono il vostro Presidente del Consiglio. Ci siamo sbagliati. Il problema non è il covid19. È che viviamo in un mondo di merda, in cui ci siamo convinti che un bilancio in pareggio sia più importante della vita umana. In cui siamo così scollegati dalla vita sul pianeta – umana, animale, subacquea o digitale che sia – che siamo diventati cinici, incuranti, e capaci di usare le tecnologie per esercitare potere su miliardi di persone, mantenendo la distanza, riuscendo a non sentire più sulla pelle o nelle viscere le grida, la sofferenza, la mancanza di speranza e di gioia a cui corrispondono le nostre azioni.

Per questo, dobbiamo intervenire sul sistema. Se dobbiamo scannarci sul come, facciamolo. Ma facciamolo adesso. Perché non è più sostenibile e dignitoso. Per tutti noi. Ah, sì, mi dicevano di questa storia dell’app: fate un po’ come vi pare, è un dettaglio. Se possiamo salvare delle vite, salviamole. Tanto sappiate che alla fine del processo che ci si para davanti, i dati e il modo in cui usiamo le tecnologie cambieranno radicalmente. E saremo tutti noi a cambiarlo. La cosa importante, infatti, è un’altra. Da domani pomeriggio vi considero tutti coinvolti nella trasformazione di sistema che ci troviamo ad affrontare. Ne va della nostra sopravvivenza.>>

Prepariamoci: nei tempi che verranno i problemi saranno tutti complessi. Buona tragedia a tutti! (E speriamo di poter dire: buona agnizione a tutti!)


Immagine, fotogramma da 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick