Quando l’innovazione sociale riprogetta l’azione del pubblico

Questo contributo apre una serie di approfondimenti in collaborazione con il Master U-RISE dell’Università Iuav di Venezia sul rapporto tra rigenerazione urbana e innovazione sociale. La serie vuole discuterne gli impatti socio-spaziali, raccontare pratiche virtuose e allo stesso tempo imparare da ciò che non ha funzionato. I docenti del Master U-Rise Elena Ostanel, Adriano Cancellieri e Ezio Micelli (Università Iuav di Venezia), Ilda Curti (IUR – Innovazione Urbana e Rigenerazione), Martina Bacigalupi (The Fund Raising School) e Nicoletta Tranquillo (Kilowatt Bologna) ci accompagneranno in queste settimane con le loro analisi e riflessioni. Buona lettura.

“Le iniziative di innovazione sociale, anche se iniziate con successo da individui e comunità, faticano a sostenersi e ad essere efficaci in assenza di un adeguato sostegno pubblico”. 

È la Commissione Europea a sostenerlo in un recente rapporto pubblicato nel 2017, ma evidenze di questo genere ne abbiamo ormai a sufficienza. Troppo spesso la retorica associata all’innovazione sociale è stata usata per giustificare un arretramento del welfare state o più in generale per deresponsabilizzare i governi locali nel trovare soluzioni efficaci a vecchi o nuovi problemi sociali. O ancora, per definire interventi veloci, altamente replicabili e comunicabili, avviando di fatto una politica delle “buone pratiche” che potrebbero circolare ovunque indipendentemente dal contesto sociale e istituzionale.

Questo breve contributo vuole invece esplorare l’altra faccia della medaglia: i casi in cui l’innovazione sociale diventa uno strumento per ripensare e riprogettare l’azione del pubblico secondo una prospettiva di giustizia sociale. L’innovazione sociale, in questo senso, è un costrutto sociale e territoriale la cui produzione dipende fortemente dal contesto socio-economico e politico locale e dalle forme di organizzazione sociale e politica in campo.

Possiamo pensare alcuni spazi di rigenerazione urbana come corpi intermedi di nuova generazione?

Nel testo Spazi Fuori dal Comune ho provato a sostenere che perché ci sia innovazione sociale è necessario che si produca apprendimento sia nelle istituzioni sia nei molteplici attori sociali che vi hanno preso parte, a garanzia di sostenibilità e durabilità.

Ho letto gli spazi di rigenerazione urbana come luoghi interessanti per osservare come le istituzioni cambiano non per forza secondo un processo razionale e regolativo, ma per prove ed errori dove a cambiare non sono solamente l’insieme di regole, procedure, istituzioni ma anche il sistema di potere di fatto, quelle relazioni di interessi in conflitto che animano l’organizzazione istituzionale (Donolo, 2005 [1]).

Venturi e Zandonai in DOVE raccontano invece l’impatto di queste nuove organizzazioni nel ricostruire un tessuto socioeconomico rispondente con modelli di sviluppo in grado di cambiare le regole del gioco per quanto riguarda l’economia, i rapporti sociali, l’equilibrio ambientale.

Zandonai si chiede se possiamo pensare alcuni spazi di rigenerazione urbana come corpi intermedi di nuova generazione. In una crisi profonda delle forme di organizzazione politica, la domanda al centro è se l’innovazione sociale possa produrre processi di empowerment e organizzazione di comunità capaci di chiedere e ottenere politiche pubbliche più efficaci.

In un contesto sociale dove le ineguaglianze sociali (e spaziali) aumentano, non sono sufficienti agopunture urbane nei territori fragili, ma sembrano urgenti interventi redistributivi capaci di intervenire su quei fattori contestuali che distribuiscono in maniera diseguale risorse e spazi.

Il ruolo della pianificazione è anche quella di sostenere la riconfigurazione di un’azione pubblica efficace

Come sostengono Balducci e Mäntysalo in un testo del 2013[2], le esperienze di rigenerazione urbana tramite l’innovazione sociale possono essere anche analizzate come trading zones capaci trasformare in maniera radicale l’azione di planning e la sua cassetta degli attrezzi.

Leonie Sandercock racconta come sia necessaria una nuova immaginazione del planning: una capacità di pianificazione che non sia puramente regolativa, ossessionata dalle procedure, impaurita dalla transitorietà e dall’incertezza. In particolare in una società dove aumentano le disuguaglianze sociali, il ruolo della pianificazione è anche quella di sostenere la riconfigurazione di un’azione pubblica efficace, senza utilizzare la retorica “dal basso” e le capacità delle comunità per arretrare.

Nella conferenza annuale AESOP che si è tenuta a Iuav di Venezia quest’anno, Sandercock ha elencato alcune delle competenze del planner 4.0 e che mi sembra di ritrovare nelle figure professionali che il Master U-RISE contribuisce a formare: la capacità di lavorare alle velocità delle comunità, oltre a quella di costruire relazioni di fiducia e leadership collaborative; il focus nella capacità di costruire relazioni di prossimità; la capacità di ascolto; la capacità di non considerarsi indispensabili nell’accompagnare processi complessi.

Spazio, società e istituzioni: sono questi i tre assi su cui valutare (e non per forza misurare) gli impatti possibili delle azioni di rigenerazione urbana e innovazione sociale. Siamo di fronte a comunità di pratiche che mentre agiscono sperimentano nuove risposte a complessi problemi sociali, ma anche modi di agire politica e politiche pubbliche. ‘Spazi fuori dal Comune’ che mettono in luce l’esistenza di risorse condivise che, una volta viste, possono essere mobilitate collettivamente per raggiungere obiettivi comuni. Spazi inediti che creano legami a rete tra una molteplicità di soggetti che probabilmente in passato non si sarebbe trovati a lavorare assieme. Luoghi che producono competenze hard e soft, per prove ed errori, attraverso un’azione collettiva che si nutre di pratiche, dove si scambiano conoscenze tacite e non codificate, a cavallo tra spazio e territorio.


1 Donolo C. (2005), Dalle politiche pubbliche alle pratiche sociali nella produzione di beni pubblici? Osservazioni su una nuova generazione di policies, Stato e Mercato, 1: 33-66

2 Balducci, Alessandro and Mäntysalo, Raine. 2013. Urban planning as a trading zone. Dordrecht: Springer.