Riparte la Scuola di Mobilitazione Politica, un laboratorio per l’attivazione civica radicale

Nella società contemporanea appare sempre più evidente il distacco tra le promesse teoriche dei sistemi democratici in cui “la sovranità appartiene al popolo” e le condizioni di potere reale dei cittadini. Il diritto di potersi esprimere sulle scelte pubbliche e la possibilità di influenzare le decisioni politiche è stato ormai quasi completamente eroso da grandi interessi privati e dinamiche de-territorializzanti di globalizzazione. Anche l’esercizio del voto, ultimo baluardo delle democrazie occidentali, si rivela uno strumento spesso inefficace e sempre meno utilizzato per far valere adeguatamente i propri interessi e le proprie istanze, per  far sentire la propria voce.

Non ultimo tra gli studiosi, Colin Crouch ha interpretato la crisi delle democrazie contemporanee come una fase nuova, definita post-democrazia: una condizione nella quale molti elementi del sistema democratico sarebbero venuti meno, riducendo drasticamente il potere decisionale dei cittadini nell’arena pubblica. Lo strapotere di forze di mercato, produttive e finanziarie, e l’impoverimento dei corpi intermedi, cinghie di trasmissione tra la società civile e le istituzioni, hanno indebolito la capacità delle masse di imporsi nelle agende decisionali. La crisi dei sindacati e dei partiti sarebbe in questo senso un elemento centrale nello spiegare la crisi post-democratica in cui la politica è avvertita come lontana, inaccessibile e in generale poco affidabile.

In questo quadro, sono emersi due fenomeni: da una parte nuove forze politiche più liquide e populiste si sono affacciate nel panorama elettorale, sostituendo almeno parzialmente i partiti tradizionali; dall’altro, in seno alla società, molte delle energie “buone” nel corpo cittadino si sono indirizzate verso forme di attivismo civico o di movimento, come risposta alla sfiducia nella politica organizzata. Oggi stiamo vivendo una fase di espansione del volontariato, dell’azione sociale diretta, della sussidiarietà agita dal basso, del movimentismo extra-sistema nella quale hanno proliferato esperienze che si sono fatte in vario modo portatrici di visioni nuove. Malgrado questa spinta “a sinistra”, di cui si sono rese partecipi le nuove generazioni, nate e cresciute in uno stadio di crisi costante della politica e del partitismo, questo attivismo fatica ancora a produrre effetti sul piano istituzionale, sia per mancanza di rappresentanza in termini di candidati ed eletti sia per una scarsa influenza indiretta sulle agende politiche. Segno forse che la spontaneità e la forza della politica dal basso, per avere un impatto concreto, vanno affiancate a un approccio pragmatico, sostenuto da concrete capacità organizzative e da competenze politiche trasversali.

Oggi stiamo vivendo una fase di espansione del volontariato, dell’azione sociale diretta, della sussidiarietà agita dal basso, del movimentismo extra-sistema nella quale hanno proliferato esperienze che si sono fatte in vario modo portatrici di visioni nuove.

È da questa necessità di formare competenze organizzative trasversali che prende spunto la Scuola di Mobilitazione Politica (SdMP) fondata dal comitato Ti Candido. La scuola è il frutto di un riuscito coordinamento di 12 realtà diverse: associazioni di civismo attivo, movimenti politici, gruppi di pressione e advocacy del campo largo progressista: da Green Italia, passando per il Forum Disuguaglianze Diversità per arrivare fino al neonato e più radicale Up – Attiviamoci. Grazie alla regia di Ti Candido questi attori hanno deciso di mettere a sistema le proprie esperienze per offrire un luogo (virtuale) di incontro, formazione e dibattito politico. Fatta di un misto di lezioni frontali, dibattiti con gli ospiti e sessioni laboratoriali, la scuola si è articolata in 6 incontri con 8 tra relatori e relatrici e quasi 50 volontari/e che hanno permesso la realizzazione dei tavoli di lavoro e i gruppi di discussione. Un’iniziativa aperta a studenti/esse e lavoratori/trici che ha riscosso un’adesione impressionante: sebbene i posti disponibili previsti fossero 150, sono arrivate 700 richieste di iscrizione. Gli organizzatori, davanti ad una risposta così entusiasta, hanno quindi deciso di ammettere tutti/e i/le 700 candidati/e.

LA SCUOLA: SVILUPPO DAL BASSO E NUOVI PARADIGMI PER LA MOBILITAZIONE

La Scuola non è l’unica a proporre un percorso di formazione politica . Nel panorama italiano, esistono alcune esperienze simili, come la scuola popolare di Grande Come una Città, a Roma con Christian Raimo o la Scuola di Politiche di Enrico Letta, decisamente più istituzionale. Per non citare poi la miriade di piccole scuole che esistono sparse su tutto il territorio da Nord a Sud. Nessuna scuola di questa portata, però, si era prefissata il compito di formare competenze organizzative trasversali: non competenze di policy, né competenze di cultura politica, bensì capacità di attivazione e gestione di processi politici e collettivi complessi.

La prima edizione della Scuola, partita il 22 febbraio, inaugura lunedì 26 aprile l’inizio della sua seconda fase. Il filo conduttore dei primi 6 incontri di formazione tenutisi nei mesi scorsi è stato il racconto di alcune delle esperienze più innovative del vasto campo progressista italiano ed europeo. Così, a partire dal grassroot lobbying di Saul Alinksy, che ha fatto da cornice teorica introduttiva, si è passati all’analisi dei casi concreti, con le testimonianze di alcuni attivisti che ne hanno preso parte. Tanti i temi toccati: dall’organizzazione elettorale di Momentum, il comitato che ha sostenuto Corbyn alle primarie labouriste nel 2015, all’infrastruttura partecipativa e alla politica di prossimità di Barcelona en Comu. Unica nota negativa, da casa nostra si è scelto di analizzare il movimento delle Sardine, esperienza che, a maggior ragione se messa a confronto con le altre iniziative raccontate dalla scuola, risultata quasi fuori luogo per la povertà di contenuti. Ben più interessante invece il racconto di Extinction Rebellion in quanto realtà transnazionale decentrata, ma dotata di una chiara teoria del cambiamento e una forte rivendicazione su pochi temi programmatici comuni.

Interessante notare come il cappello teorico introduttivo condensi la lezione complessiva della scuola: attraverso le strategie organizzative di Saul Alinksy presentate nel primo incontro da Mattia Diletti e Alessandro Coppola, curatori di Radicali all’azione! Organizzare i senza potere dello stesso Alinsky (in meritoria traduzione italiana per edizioni dell’Asino), si pone l’accento sulla messa in rete degli interessi di gruppi disparati, spesso in attesa di politicizzazione. Tanto nell’America degli anni ‘30 quanto nell’Italia di oggi sono molti i cittadini e le organizzazioni “silenziose” che attendono di essere adeguatamente messe in relazione, sostenute, federate in forme organizzative di secondo livello che siano in grado di lottare con e contro le istituzioni per il riconoscimento delle proprie istanze.

COME SI PRATICA LA RADICALITÀ? 

È a partire da una simile lettura di contesto che nasce la Scuola di Mobilitazione Politica, legata a doppio filo alla storia del suo comitato promotore, Ti Candido. Il progetto Ti Candido parte infatti nel 2019 per offrire sostegno a candidati locali che presentano programmi radicali ma sono sprovvisti di un partito di riferimento che li sostenga. Nell’arroccamento dei partiti tradizionali, sono venute a mancare le entità sovralocali che avevano disponibilità economiche ed organizzative adeguate ad organizzare campagne di massa, in grado di mobilitare forze, persone e idee. Il comitato Ti Candido nasce quindi con l’intento di contribuire a colmare questo vuoto e riallacciare la politica ai cittadini.

L’idea ricorda da vicino quella di Justice Democrats, la piattaforma che negli USA ha permesso l’elezione di candidati anti-establishment come Alexandra Ocasio Cortez e Ilhan Omar. Anche in Italia ci sono numerosi gruppi e movimenti della società civile che esprimono una visione radicale che, però, solo raramente si traduce in rappresentanza politica e successo elettorale. Così, le visioni radicali pagano il prezzo di una mancata traduzione istituzionale, e restano sotto-rappresentate nei luoghi delle decisioni.

Questa mancanza di legame tra le pulsioni presenti nella società e la politica istituzionale, è stata interpretata dal comitato Ti Candido anche come un deficit di formazione politica trasversale. La Scuola sceglie quindi di rivolgersi agli under 30 perché chi ha iniziato a interessarsi di politica dopo Genova 2001, ha vissuto una situazione di costante crisi (economica, ambientale, ma soprattutto politica) che ha prodotto percorsi di radicalizzazione nelle idee e nelle proposte, senza che queste si traducessero efficacemente in organizzazione politica diffusa. Il definitivo superamento della tradizione politica novecentesca, l’abbandono di certi riferimenti culturali come il PCI o l’Autonomia, concedono maggiore libertà nel re.immaginare le forme e le modalità della mobilitazione. Tuttavia, questo superamento ha spesso coinciso con una perdita della capacità organizzativa del passato e si è tradotta in molti casi in un’incapacità a far valere trasformazioni radicali sempre più necessarie.

La Scuola di Mobilitazione nasce allora con uno spirito di servizio, per rimettere in circolo quelle competenze organizzative necessarie per produrre attivazione nei territori. Alla domanda: come si passa dalla teoria alla pratica? Come si realizza un potenziale politico inespresso? La scuola risponde fornendo un inventario di strumenti organizzativi che vengono da alcune delle migliori pratiche concrete del contesto europeo. Queste esperienze forniscono spunti utili per la mobilitazione delle comunità, e consentono di ragionare su quegli approcci pragmatici, quelle capacità di attivazione, quelle competenze politiche trasversali che serviranno di qui in futuro per liberare il potenziale di radicalità che esiste nella società e in molte pratiche politiche extra-sistemiche. Altro obiettivo fondamentale della Scuola è quello di fare rete, connettere e mettere in dialogo persone e attivisti attraverso gruppi di lavoro e discussioni sui temi. Utile tanto per le/i partecipanti già mobilitati, quanto per le/i molte/i studentesse/ti per cui questa è stata un’occasione inedita di incontro e sensibilizzazione.

La sfida, secondo gli organizzatori, è portare quella radicalità già in circolo a farsi prassi trasformatrice “con e contro le istituzioni”, a seconda delle esigenze e delle occasioni. Serve, in quest’ottica, creare tanto un middle management politico sul territorio (i quadri), quanto soprattutto nuovi mobilitatori a livello grassroot, per produrre riforme di sistema. In entrambi i casi la risposta è sempre e solo una: diffondere quelle competenze trasversali (principalmente organizzative e gestionali) che consentono la realizzazione di risultati politici collettivi.

ATTIVARE E ATTIVARSI

La lezione che viene dalla Scuola di Mobilitazione Politica è che occorre prendere sul serio il “sociale” nella democrazia, ossia la società civile, le persone comuni, i “senza potere”. Negli scorsi anni, l’istituzionalizzazione dei sistemi di cura, aiuto e solidarietà, così come la delega della funzione politica a corpi specializzati e lontani dai cittadini, ha messo in seria crisi la tenuta delle democrazie occidentali causando una forte disgregazione sociale e un crescente scollamento politico.

Il rapporto di subordinazione che esiste tra governanti e governati sta producendo oggi una frattura di grandi proporzioni a cui si risponde prendendo sul serio la sussidiarietà come principio guida, rilanciando l’empowerment dei cittadini e la partecipazione all’(auto)governo politico. Per fare ciò serve una diffusione capillare di competenze per l’attivazione, nuovi saperi sui metodi della partecipazione e una maggiore responsabilità individuale verso la cosa pubblica e comune. Oggi più che mai occorre riarticolare la società attraverso nuovi bacini di partecipazione, politicizzando l’impegno sociale. I corpi intermedi e le infrastrutture di decisione partecipata possono in questo senso giocare un ruolo importante nel restituire centralità al cittadino, che non può restare suddito di decisioni prese altrove.

Cominciare a innestare nuova linfa nella crisi del sistema rappresentativo è certamente un primo passo importante per rivitalizzare la democrazia, intesa come governo dei cittadini. Diffondere competenze plurali intorno alla mobilitazione collettiva  come la scuola di Mobilitazione sta tentando di fare non può che essere un potente acceleratore di questo ritrovato centralismo partecipativo.