Basic bitches e il lamestream. Andare oltre il nerd-maschilismo

Tutto il discorso dei “normie” e delle “basic bitch” che “non capiscono” lo stile controculturale della sottocultura amorale mi fa tornare indietro all’adolescenza e ai giorni delle rivalità tra sottoculture musicali, ma adesso si tratta di adulti e sono in gioco questioni politiche molto più serie.

Richard Spencer è solito accusare tutti coloro che non trovano “figo” il ritorno del separatismo razziale di essere normie e basic bitch. Mike Cernovich, intervistato dal The New York Times, ha detto che il discorso di Hillary Clinton a Reno, in Nevada, era “la cosa più stupida che lei avesse mai fatto” e che a curare i suoi social media erano “basic bitch ventiquattrenni che si dicono indignate da noi”.

Siamo al punto che l’idea di essere figo/controculturale/trasgressivo può mettere un fascista in posizione di superiorità morale rispetto a persone normali. Occorre seriamente riconsiderare il valore di queste idee di controcultura ormai stantie e logore.
In certi attacchi alle piattaforme web sempre più “femminizzate” si sente l’eco di Nietzsche: secondo il critico musicale Robin James, “il fatto che Nietzsche ascrivesse alle masse le caratteristiche femminili è legato strettamente alla sua visione estetica dell’artista-filosofo-eroe, il solitario sofferente capace di sopportare pur nell’inconciliabile senso di opposizione che prova nei confronti della moderna democrazia e della sua inautentica cultura”.

John Carey ha invece dichiarato: “il modo in cui Nietzsche vedeva le masse era condiviso o prefigurato da quasi tutti i fondatori della moderna cultura europea”. L’espressione utilizzata sul web che “non ci sono ragazze su Internet” è apparsa presto nelle “Regole di Internet” pubblicate su 4chan, e non va intesa letteralmente, ma nel senso che le aree del web con poche donne o con nessuna donna rappresentano “la vera Internet”, quella autentica.

Di donne si parla in un modo che presume la loro assenza, e gli utenti sembravano considerare lo spazio anonimo come un luogo in cui si poteva inveire contro le donne sapendo di rivolgersi a una audience implicitamente maschile e solidale.

“Cumdumpster”, un termine gergale che è circolato per anni sull’Internet antifemminista, ha le sue radici negli attacchi alle donne percepite come desiderose di attenzione e vanitose, e si è poi spostato negli spazi geek dominati da maschi. Come ha dimostrato lo studioso Vyshali Manivannan, l’uso comune del termine fatto su 4chan ha avuto origine nel 2008, quando una utente che si definiva una femanon pubblicò una foto – quasi certamente un falso – nella quale appariva in lingerie. La donna, che aveva da poco avuto un litigio con il marito, chiedeva se le sarebbe stato facile o no poter concedersi una scappatella. Il suo comportamento era talmente antitetico rispetto alle convenzioni della sottocultura che gli altri utenti iniziarono a modificare il messaggio, secondo Manivannan, inserendo un interesse per gli escrementi e sostituendo la parola “femanon” con “cumpdumpster”. Il thread venne momentaneamente fissato sulla pagina principale di 4chan e un utente lo dichiarò “l’equivalente di una testa umana su una picca”, una evidente dichiarazione di inclusione ed esclusione.

Per quanto oggi meno influente di un tempo, una sottocultura per nerd nata sul web che ha iniziato a spostarsi a destra condividendo molti tratti della alt-right contemporanea è quella del “nuovo ateismo”, movimento che è stato tra i predecessori della alt-right e che è caratterizzato da uno stile “alla Christopher Hitchens” nel prendere di mira il pensiero irrazionale e religioso.

Tutti i video oggi presenti su YouTube con titoli come “Milo DOMINA una stupida femminista” hanno più o meno lo stesso stile dei video dei nuovi atei, altrettanto numerosi già qualche anno prima e caratterizzati da titoli tipo “HITCH COLPISCE ANCORA! Hitchens DOMINA una stupida donna cristiana”. Entrambe le tipologie di video sono attraversate anche da una certa sensibilità nietzscheana, contraria al mainstream, anticonformista.

Rebecca Watson, una “nuova atea”, ha fondato il blog Skepchick ed è stata tra i conduttori del podcast “The Skeptics’ Guide to the Universe”. Nel 2011, Watson divenne l’oggetto di una vera e propria tempesta di abusi da parte della web community degli atei e degli scettici, una tempesta oggi nota come #elevatorgate.

La sua colpa fu di aver scritto un post intitolato “Reddit mi fa odiare gli atei” e che parlava delle ragazze che la comunità degli atei online ridicolizzava per aver provato ad affrontare certe discussioni in un forum largamente frequentato da maschi. Nel giugno di quell’anno, Watson partecipava a una conferenza con Richard Dawkins. Ecco nelle sue parole il racconto di quanto è stato all’origine dell’Elevatorgate:

Decisi di utilizzare il tempo concessomi per parlare di cosa significava per me comunicare l’ateismo online e di come il fatto di essere una donna influenzasse le risposte che ricevevo, ad esempio le minacce di stupro o altri commenti a sfondo sessuale. Il pubblico era recettivo e, dopo che ebbi concluso l’intervento, passai diverse ore nel bar dell’albergo a discutere di vari temi quali il genere sessuale, l’oggettivazione e la misoginia con altri atei ragionevoli. Alle quattro del mattino circa mi scusai e, spiegando quanto fossi esausta, mi preparati per andare a letto prima di un’altra giornata piena di discussioni. Mentre andavo verso l’ascensore, un uomo con cui non avevo parlato direttamente si staccò dal gruppo ed entrò con me. Non appena si chiusero le porte mi disse: “Non la prenda male, ma trovo che lei sia molto interessante. Le andrebbe di venire in camera mia per un caffè?”. Rifiutai gentilmente e scesi al mio piano.

Watson, in seguito, raccontò dell’accaduto nel videoblog che teneva su YouTube. Il risultato fu che la sezione commenti venne inondata da pesanti messaggi e minacce a sfondo sessuale, la sua pagina Wikipedia venne vandalizzata e, come scrisse lei stessa, “ci sono persone che mi stanno mandando centinaia di messaggi e che giurano che non mi avrebbero mai più lasciata sola”.

L’ondata d’odio per corrispondenza divenne ancora più intensa quando lo stesso Richard Dawkins intervenne sul tema, prendendo in giro le femministe occidentali che si lamentavano di una cosa così banale come ricevere un’offerta sessuale in un ascensore mentre, nel mondo islamico, si soffriva per ben altro.

Ci fu chi aprì degli account su Twitter a nome di Watson, e li utilizzò per scrivere accuse infamanti verso i suoi amici e altra gente. Come lei stessa segnalò, vennero creati interi blog che ne elencavano errori commessi in passato nel tentativo di tirar fuori qualsiasi cosa sul suo conto che potesse metterla in cattiva luce. Una settimana dopo le parole di Dawkins, un intervento di Watson era nel programma di una conferenza sull’ateismo: un uomo le scrisse su Twitter che la avrebbe aspettata nell’ascensore per aggredirla.

Altre donne e femministe che facevano parte della comunità degli atei online furono sottoposte a simili ondate d’odio per aver distrutto, con la loro cultura femminile, uno spazio maschile, e riportarono di aver subito lo stesso tipo di intimidazioni. […]
Un meme, che si dice sia stato pubblicato in origine sulla sottosezione r/atheism di Reddit allo scopo di mostrare quanto le donne, per via della loro vanità, indulgessero molto più degli uomini nell’utilizzo dei social media basati su fotografie, presentava un fumetto nel quale erano ritratti un uomo e una donna che mostravano un mattone, ma mentre l’uomo non faceva altro che mostrare semplicemente il mattone, la donna si faceva fotografare in posa mentre assumeva un atteggiamento seducente tenendo il mattone in mano.

Quest’immagine andò a finire nel forum r/athism, documentata da femministe critiche della cultura dell’ateismo online, quando una ragazza di quindici anni che usava il nickname Lunam aprì una discussione intitolata “Ecco che mi ha regalato per Natale la mia mamma super-religiosa”. La discussione conteneva una foto della ragazza con in mano una copia del libro The Demon-haunted World: Science as a Candle in the Dark di Carl Sagan.

Il primo commento sotto l’immagine fu: “Preparati, arrivano i complimenti”, sottintendendo l’inevitabilmente ondata di commenti lusinghieri che lei avrebbe consapevolmente voluto attrarre. Ne risultò una lunga discussione, in cui i partecipanti indugiarono in considerazioni sull’età della ragazza e fecero battute a proposito del rapirla e stuprarla.

“Rilassati, farà meno male”, scrisse uno. “Il sangue è il lubrificante della natura”, aggiunse un altro. Quando Lunam rispose ai commenti, lo fece scrivendo “Ecco come ci si sente (dat feel) quando sai che nessuno ti prenderà mai sul serio nella comunità atea/scientifica/quel che sia perché sei una ragazza”, al che qualcuno prontamente replicò: “Bè, se usi espressioni come ‘dat feel’…”.

Tutto ciò fu parte di una più generale tendenza nelle sottoculture web dominate da nerd maschi, nelle quali le donne sono viste come una minaccia all’integrità della sottocultura, e percepite piuttosto come una forza che porta nel contesto sottoculturale le costrizioni morali e comportamentali e l’inautenticità delle piattaforme mainstream.

Uno dei primi esempi del genere “nerd anti-donne” fu il meme Idiot Nerd Girl, che fece la sua comparsa intorno al maggio del 2010, e che consisteva nella foto di un’adolescente con indosso occhiali dalla montatura spessa e la parola “nerd” scritta sul palmo delle mani.

L’immagine era sempre accompagnata da una scritta in alto riferita in qualche modo alla geek culture, e una in basso che dimostrava invece quanto la ragazza fosse priva di autentica consapevolezza sottocultura […].

Le donne che, nei forum che si identificano come trasgressivi e controculturali, vengono regolarmente chiamate “puttane alla ricerca di attenzione”, camwhore o cumdumpster, di solito sono colpevoli di sbagliare e “non cogliere” le convenzioni sottoculturali.

La vanità femminile, che si dice le donne siano lì per mostrare, è violentemente rifiutata dalla chan culture in quanto caratteristica saliente di gran parte dei social media di massa e della cultura online, nella quale piattaforme come Instagram e Facebook sono basate sull’identità e le fotografie personali.

Le controculture web cercano aggressivamente di difendere i propri confini proprio da questi network massificati e femminilizzati. Ancora una volta, niente di nuovo: Joy Press e Simon Reynolds, riferendosi a Ricorda con rabbia di John Osborne e a Gioventù bruciata, che attaccavano la mediocrità dell’ordine sociale del dopoguerra con simile caratterizzazione di genere, hanno scritto che “il discorso del ribelle degli anni ’50 è dominato dalla figura matriarcale come vertice assoluto del conformismo”.

In Qualcuno volò sul nido del cuculo, il paziente ribelle Harding mette in guardia McMurphy dalla malvagia infermiera Miss Ratched: “Siamo le vittime di un matriarcato, qui, amico mio”. In questo immaginario, il conformismo è femmina e la ribellione maschio.

Misantropia e misoginia, odio del femminile che alleva e addomestica vanno di pari passo nel mondo della alt-right, e ancora una volta non è per niente una novità. Reynolds e Press sostengono che, nell’immaginario ribelle, le donne figurano come vittime e, al tempo stesso, come agenti del “conformismo castrante”.

Il collegamento è particolarmente evidente nel concetto del “mammismo”, espresso da Philip Wylie nel libro Generazione di vipere (1942), una polemica sulla degenerazione della società americana, ingolfata dal materialismo e dalla superficiale, femminilizzata cultura popolare e consumistica. Proprio come nel caso della “pillola rossa” delle culture online, la trappola del matrimonio e della domesticità venne ad- ditata come “il nemico” da parte della cultura della ribellione maschile negli anni ’50 e ’60, e le donne recitavano sempre la parte delle sostenitrici contro-rivoluzionarie della mediocrità suburbana.

L’associazione negativa di femminilità e cultura di massa risale a tempi ancora più remoti. Il critico letterario Andreas Huyssen la ritrova in Madame Bovary: scritto in un’epoca nella quale i padri del modernismo esprimevano “un’estetica basata sul rifiuto senza compromessi di ciò che Emma Bovary amava leggere”, il romanzo presentava un ritratto poco lusinghiero di una donna confusa dalla letteratura romantica. Huyssen vedeva l’“Altro” di quest’epoca come una donna.

Nell’era del primo importante movimento femminile, sostenne, i nemici alle porte di una élite dominata da maschi erano femmine:

Colpisce osservare che il discorso politico, psicologico ed estetico attorno al volgere del secolo tenta massicciamente e ossessivamente di categorizzare la cultura di massa e la massa stessa come “femminili”, mentre l’alta cultura, sia tradizionale che moderna, rimane chiaramente il regno privilegiato delle attività maschili.

Ritorniamo un momento a Fight Club. Nell’originario set delle “50 regole di Internet” stilato su 4chan, tra le quali si trovavano ad esempio “norme” come “Fuori le tette o fuori dalle palle” o “non ci sono ragazze su Internet”, si potevano anche trovare regolamenti come “Non si parla del forum /b” e “Non si parla MAI del forum /b”, che imitavano proprio le prime due regole del Fight Club – “Non si parla del Fight Club”.

Tyler Durden, il personaggio principale del film, incarna la riaffermazione della mascolinità ribelle contro il conformismo castrante del consumismo e la femminilizzata timidezza post-industriale della vita da ufficio.

Il personaggio interpretato da Edward Norton è il maschio beta conformista, castrato e consumista mentre il suo alter ego, Durden, è il suo alfa controculturale, libero dal bisogno e dal controllo delle donne. Durden vende il “Sapone Rosa”, fatto con il grasso delle donne che si sono sottoposte a liposuzione, e rivende perciò di fatto alle donne il loro stesso grasso, in un mix di ribellione al consumismo e disprezzo per la vanità e per lo schiacciante conformismo femminili – forse il tema centrale della cultura MGTOW.

Il film costruisce inoltre una mascolinità ribelle che rifiuta per gli uomini sia i ruoli tradizionali sia quelli nuovi, profemministi, ponendosi come antidoto anticonformista. La retorica di gran parte della alt- right riecheggia lo stile anarchico e anticonformista mostrato in Fight Club da Durden, impegnato nel tentativo di svegliare il “fuco” conformista dal suo torpore, di somministrare a sé stesso la pillola rossa. Rievocando in qualche modo la mascolinità ribelle della controcultura anni ’60 e l’idea di mascolinità della alt-right, Durden descrive in questo modo i maschi della cultura mainstream:

…schiavi con i colletti bianchi. La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti. Fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia. Non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo né la Grande Guerra né la Grande Depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale. La nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinti che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock star… ma non è così e lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene.

Il tono e lo stile sono esattamente gli stessi assunti dal movimento MGTOW e dalla maschiosfera antifemminista in generale, nella quale il padre assente è spesso la base per colpevolizzare ulteriormente le donne.

In Fight Club è presente anche il tema dello “zerbino”. Il narratore, Jack, ci dice che “come tanti altri, anch’io ero diventato schiavo della tendenza al nido IKEA”, mentre si siede sul water consultando proprio un catalogo IKEA. Durden, più avanti nel film, gli chiede “Perché due come te e me sanno cos’è un piumino?”.

Proprio come la destra online, Fight Club incorpora la politica maschilista e antifemminista, l’angoscia ribelle e il rifiuto dell’influenza “addomesticante” delle donne. Nello stile irregolar della nuova destra “punk” e trasgressiva, la “creazione di un nido” è associata con la pacificazione, mentre pornografia e immagini di violenza vengono usate, nelle campagne di odio online, come forza di opposizione alle donne che intendono usurpare lo spazio maschile.

Il cliché pop del film American High School, che adattava vecchi archetipi, mostrava un mondo sociale nel quale i peggiori sessisti erano sempre gli sportivi tutti muscoli e niente cervello. Tuttavia, ora che il mondo del web ci ha dato la possibilità di sbirciare nelle vite private degli altri, una delle rivelazioni più sorprendenti è che è in realtà il “bravo ragazzo un po’ nerd”, che si definisce tale e che mai e poi mai avrà una ragazza, il soggetto più carico d’odio, razzista, misogino e invidioso della felicità degli altri. Allo stesso modo, l’idea che ci sia un valore intrinseco nelle qualità estetiche che hanno dominato la cultura pop sin dagli anni ’60, come la trasgressione, la sovversione e la controcultura, si è disintegrata nella constatazione che sono proprio questi i tratti salienti dell’estrema destra online, piena di vecchi bigotti appartenenti all’estrema destra tradizionale che l’immoralismo nietzscheano ha liberato di qualsiasi costrizione di stampo cristiano.

La nuova destra si sente piena di giusto disprezzo per qualsiasi cosa sia definibile come di massa, conformista, scontata. Invece di provare, in modo in realtà patetico, a parlare la lingua di questa nuova destra per “trollare i troll”, o di scimmiottare questa cultura online, dovremmo sfruttare l’occasione per rifiutare qualcosa di molto più profondo che si sta svelando ai nostri occhi.

La alt-right spesso parla della prigione mentale del liberalismo e rivendica per sé la ricerca di ciò che è davvero radicale, trasgressivo e provocatorio. Mezzo secolo dopo i Rolling Stones, dopo che Siouxsie Sioux e i Joy Division flirtarono con l’estetica nazifascista, dopo Piss Christ, dopo Fight Club, in un momento in cui tutti, dai fan di Trump a McDonald’s, continuano a sfruttare la vena ormai esaurita della provocazione, è forse ormai tempo di gettare alle ortiche i recentissimi e modernissimi valori estetici della controcultura e il loro intero paradigma, e di creare qualcosa di nuovo.


Pubblichiamo un estratto dal saggio di Angela Nagle, Contro la vostra realtà (Luiss Univesity Press)

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