Cos’è la lingua quando cessa di comunicare? Vanni Bianconi presenta Babel Festival 2019

Babel Festival

A settembre è ormai consueto l’appuntamento con i festival culturali che portano l’estate fin dentro l’autunno con una serie di fine settimana sparsi nelle varie città italiane all’insegna della letteratura, della filosofia, dell’ecologia e della scienza. Le piazze delle città diventano così veri e propri luoghi di confronto e di scambio in cui si intessono nuove relazioni e se ne approfondiscono altre.

Babel Festival

Ed è proprio partendo dall’idea della relazione che abbiamo con piacere intervistato Vanni Bianconi che dirige un festival poco oltre i confini italiani che si caratterizza per un tema che per certi versi riassume tutti gli altri: la traduzione. Babel Festival – che apre i battenti il 12 settembre –  giunge alla tredicesima edizione guidato da Vanni Bianconi, poeta e traduttore, originario di Locarno e da dieci anni residente a Londra. Quando nasce e perché Babel Festival? Cosa vi ha ispirato? Quale l’ambizione e la visione? Quale la necessità?

Babel nasce nel 2006, ospitando le lingue della diaspora ungherese, a 50 anni dai Fatti di Ungheria. Erano gli anni Berlusconi, e i festival letterari sembravano offrire un’alternativa – se non un antidoto – alle proposte culturali dei mass media. Babel è nato dal desiderio di mettere al centro una dimensione della letteratura allora ancora trascurata, la traduzione. La traduzione che, intesa come “ospitalità linguistica” – cioè la pratica che ti porta ad andare verso l’altro per poi poterlo invitare a casa tua –, può servire da modello per altri tipi di ospitalità.

Babel si concentra sulle lingue meticce, le seconde lingue, le lingue immaginate e disprezzate

Questa l’ambizione e la necessità, mentre la visione passa dallo spioncino, ha a che fare con la fiducia nella letteratura quando la si ascolta con cura, come fa il traduttore, parola per parola: come è più significativo il dialogo tra traduttore e autore sulla ricorrenza di un termine o uno scarto sintattico che non le interpretazioni critiche che tendono a sovrapporsi al testo, così un testo che ci parla di una persona creandone la voce sa dirci di più sull’umanità o sul nostro tempo che molta teoria accademica o pratica politica.

Babel Festival

Come siete partiti e quanti siete ora? A quale il modello socio economico si ispira?

Eravamo un gruppo di amici vicini alle Edizioni Casagrande di Bellinzona, scrittori e traduttori. Ora siamo una ventina di persone che ci lavorano sull’arco dell’intero anno. Il modello economico è prevalentemente toyotista. A differenza di tanti festival più generici Babel affronta un tema specifico da un’angolatura specifica: sceglie un paese ospite – Balcani, Inglesi Uniti d’America, Palestina, Brasile ecc. – o un tema – Aldilà, Non parlerai la mia lingua quest’anno – che si confrontano internamente con le traduzioni, linguistiche e culturali, e invita autori che vivono e scrivono in più lingue, in dialogo con i loro traduttori italiani. Lo sforzo curatoriale è notevole, ma il risultato è speciale, come fosse un unico incontro che si articola in tanti momenti sempre collegati tra loro.

Babel Festival, Vanni Bianconi

Vanni Bianconi

Negli anni che pubblico ha raggiunto il Festival? Quale relazione si attiva tra gli autori e il pubblico?

Il festival rimane piccolo, senza sovrapposizioni di eventi in un unico teatro che ospita 380 persone, su tre giorni. Ma a dipendenza dell’edizione, il pubblico può venire da tutta Italia o piuttosto dalle regioni limitrofe, coinvolgere le comunità di immigrati che ritrovano i loro scrittori e le loro lingue o gli svizzeri delle diverse aree linguistiche. Data la dimensione intima del festival il rapporto è stretto: gli autori, star o esordienti che siano, ritrovano il pubblico a cena o nei castelli di Bellinzona.

Babel Festival

Come si rapporta Babel Festival con il territorio? E quali pratiche promuove durante l’anno?

Per anni Babel ha portato il meglio della letteratura internazionale nel contesto del Cantone Ticino per poi scomparire per un anno: molto del lavoro veniva e viene fatto a livello mondiale, con collaborazioni con festival e case editrici, riviste e istituzioni internazionali. Per dirne due, abbiamo appena curato una serie di performance di scrittori brasiliani di origine indigena e svizzeri che hanno scritto dei testi collettivamente, al gigantesco festival FLIP di Paraty.

È nel passaggio, nello scarto, nella relazione, che si può cogliere qualcosa di sé e di quanto ci sta attorno

Un altro progetto potenzialmente illimitato è la rivista multilingue www.specimen.press, dove pubblichiamo i testi delle decine di scrittori scoperti con il lavoro di ricerca di Babel, in qualsiasi lingua e qualsiasi alfabeto. Ma da quest’anno è nato TESSin Babel, affidato a un gruppo di giovani tornati in Ticino che organizzano incontri ed eventi sul territorio durante tutto l’anno.

Babel Festival

Perché la traduzione? Quale il tema dell’edizione di quest’anno?

La propria lingua è ciò che più si avvicina a quel che si cerca di definire “identità” – ma per questo Babel si concentra sulle lingue meticce, le seconde lingue, le lingue immaginate e disprezzate, e la traduzione: l’identità non è mai identica a se stessa ed è nel passaggio, nello scarto, nella relazione, che si può cogliere qualcosa di sé e di quanto ci sta attorno.

L’edizione di quest’anno si intitola “Non parlerai la mia lingua”: nata da curiosità linguistiche – cos’è la lingua quando cessa di comunicare? – finisce per toccare l’attualità da molto vicino: mai come ora, nella storia recente, le nazioni-stato sono divise da fazioni che sembrano aver perso la capacità di ascoltarsi, e quindi ogni possibilità di intavolare un dialogo.

Babel Festival

Abbiamo declinato il tema in quanti modi possibile: dal Codex Seraphinianus di Luigi Serafini e le riflessioni sulle lingue immaginate di Paolo Albani, a un discorso sulle lingue disprezzate di Irvine Welsh, e un suo DJ set di Acid House, dall’Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli, che ausculta la nostra realtà grazie al silenzio imposto ai bambini messicani internati al confine con gli USA, alla Straniera di Claudia Durastanti, figlia di due genitori sordi immigrati a NY, in dialogo con lo scrittore eritreo-etiope ipoudente Saleh Addonia, dalla performance di yodel contemporaneo di Christian Zehnder alla tavola rotonda di traduttori di opere impossibili da tradurre.