Il lontano-lontano con cui ci connettiamo e il vicino-vicino che non consideravamo più

Con mia madre ci vediamo per un’oretta sul suo terrazzo, a distanza di sicurezza, ogni giorno verso le 17.30 per interrompere la sua solitudine di confinata agée. Abitiamo entrambe nel quartiere di Monteverde e lei ha la fortuna di avere un terrazzino da cui si vede tutta Roma sud – sud est.

Dopo essersi lanciato sull’orizzonte circondato dalle colline dei Castelli romani l’occhio si ferma sul Gazometro più vicino, si posa sui palazzi intorno alla stazione di Trastevere, vede il tram che passa sul viale e l’insegna della farmacia che lampeggia, infine si avvicina per guardare i terrazzi condominiali dei palazzi, appena sotto la nostra collina, e si ferma sui rami dei lecci che crescono accanto al terrazzo.

Sui rami di uno questi lecci ogni pomeriggio alle 18 c’è una riunione di cornacchie.

– Quella cornacchia ha dei problemi.

Dice mia madre mentre osserviamo una cornacchia solitaria in attesa delle compagne che non sono ancora arrivate ed è stranamente ferma sul ramo già da un po’. Starà guardando pure lei l’orizzonte o ascoltando la canzone delle 18 – oggi si sente “lasciatemi cantare con la chitarra in mano” sparata a tutto volume da un palazzo con l’intento di rinvigorire gli animi italiani durante l’epidemia.

Mia madre mi ha insegnato a guardarmi intorno e a notare le cose

Mia madre mi ha insegnato a guardarmi intorno e a notare le cose. “Sono un’osservatrice”, ha sempre amato definirsi. Così, quando ancora non sapevo scrivere, ce ne andavamo in giro per il giardino della casa di campagna in cui abitavamo a raccogliere foglie, piume, penne, fiori, sassi che destavano la nostra attenzione o che, già in sé, potevano raccontare una piccola storia. Poi a casa li incollavamo su un quaderno a quadretti aggiungendo piccole didascalie – scritte da lei – o disegni – fatti da me. La penna bianca e nera dell’oca zoppa raccolta un pomeriggio vicino al pollaio ancora me la ricordo. Era davvero una rarità, perché di penne d’oca ne raccoglievo in quantità ma erano sempre e solo bianche.

La cornacchia è ancora lì ma appena finisce la canzone prende il volo.

– Ah meno male. Sta bene.

Vola bene ma ha un’ala con una sorta di buco in mezzo, come se le mancassero alcune penne. Fa un giretto da sola e poi torna indietro, è l’ora della riunione e sono arrivate le altre. Le cornacchie vivono in coppia e anche oggi si ritrovano in sei per discutere dell’andamento della loro giornata nella città deserta. Gracchiano qualche minuto.

– C’è poco da mangiare in giro.

– Già già, neanche più una mela da beccare dopo il mercato.

Sono le parole di noi umane o delle cornacchie? In fondo non fa differenza.

Tutto si può inventare, osservare, raccontare. In questi giorni ripenso ai momenti dell’infanzia in cui ci si doveva annoiare per forza e non si aveva nulla da fare. Un’attesa alla posta o in banca accompagnando gli adulti, aspettare fuori dall’ora di sport di un fratello o una sorella, alla fermata dell’autobus, in macchina mentre qualcuno faceva una commissione. Un’attesa, pura e semplice, senza essersi portati con sé niente da fare.

Un tempo succedeva.

E, visto che succedeva, bisognava inventarsi qualcosa per non morire di noia. Di fronte a un negozio trovare nella vetrina tutti gli oggetti di un colore, in una sala d’attesa contare le mattonelle oppure osservare i tic della signora di fronte guardandola sfogliare una rivista: si leccherà il dito ogni volta che gira pagina o no? Alla fermata dell’autobus contare le cicche per terra oppure osservare le espressioni della gente e inventarsi una storia per ciascuno: quella è una spia in missione che vuol confondersi nella folla, quell’altro aspira a diventare un attore di Hollywood, l’altra ancora è di certo un’extraterrestre che sta studiando il nostro pianeta, si vede da come guarda gli altri.

In questi giorni di epidemia e reclusione obbligatoria la rete ci offre mille corsi online, mille modi per vedersi online, mille intrattenimenti guardando lo schermo di un computer. Per gli amici è l’unico modo di vedersi in faccia e serve farlo, in questo momento.

Chi, come me, è della generazione che è vissuta anche senza rete può apprezzarla pienamente in ogni sfumatura che riguardi “l’intrattenimento”, nel senso più ampio. La webcam nel bosco di notte, il time lapse del cargo che attraversa il canale di Suez, l’articolo del New Yorker, le ultime tendenze del DIY in California, la v-logger cinese che riscopre la campagna e si dedica alle usanze tradizionali, il cane che ulula insieme alla bambina in Canada, i video buffi che salviamo per dopo.

C’è il lontano-lontano con cui ci connettiamo ogni giorno e poi c’è il vicino-vicino che non consideravamo da un po’

È il lontano-lontano con cui ci connettiamo ogni giorno. Amplia le nostre conoscenze e il nostro immaginario. Penso ad artisti come il Doganiere Rousseau oppure Joseph Cornell che pur fantasticando di luoghi lontani e parlandone attraverso la loro arte non li avevano davvero mai visti. Uno non si era mai spostato da Parigi e l’altro da New York e dintorni. Ma il lontano-lontano lo trovavano in un dipinto visto a un’esposizione, un libro, qualche foto, una vecchia mappa dimenticata da un viaggiatore o un oggetto recuperato da un robivecchi. Forse avrebbero apprezzato la rete e gli esotismi immediati, viaggiare su Google Maps, leggere riviste di paesi dall’altra parte del mondo o fare il giro dell’Ermitage seduti sulla propria poltrona.

Poi c’è il vicino-vicino che non consideravamo da un po’. Perché nella vita quotidiana a ritmi normali per noi è ormai più immediato vedere il timelapse del cargo che attraversa il canale di Panama che guardare dalla nostra stessa finestra per cinque minuti di seguito.

Bene, ora abbiamo l’opportunità di riprenderci anche il vicino-vicino nelle ore lunghe della quarantena.

Uno straccio steso a cavallo di una ringhiera senza mollette: lo vedo sventolare violentemente perché oggi c’è la tramontana.

Resisterà? Cadrà? Lo sventolio dello straccio è quasi piacevole, ipnotico, per qualche minuto. La formica sul pavimento del balcone: dove va? Se le do una mollichina cambierà il suo itinerario? Mi metto a guardarla per un po’. Nell’aiuola sotto casa c’è ormai un cespuglio di ortica, ogni giorno più rigoglioso, ne verrebbe fuori un’ottima zuppa.

La persona che dà da mangiare ai piccioni nel terrazzo condominiale, a che ora arriva ? Anche oggi la voglio guardare

La persona che dà da mangiare ai piccioni nel terrazzo condominiale in lontananza, a che ora arriva tutti i giorni? Anche oggi la voglio guardare e cercare di indovinare se è un uomo o una donna. La lotta di quei due gatti, parteggio per quello rosso. Gli umani che passano sotto la nostra finestra si possono osservare come fossimo etologi nella giungla. Guardarli camminare, parlare, qualcuno ha la mascherina altri no, quel ragazzo con lo zaino da montagna, ci avrà messo la spesa dentro o sta partendo in incognito a piedi? Una busta di plastica gira su e giù a mezz’aria portata dal vento tra il mio palazzo e quello di fronte. La potrei quasi prendere al volo alla prossima folata ma credo che la lascerò girare ancora per vedere dove va.

È come uno scroll di un social network materiale. Certo, i contatti in questo caso non ce li scegliamo noi e sono per lo più umani sconosciuti, uccelli, piante, buste di plastica, gatti randagi. Argomenti che magari, nella normalità, non considereremmo ma che adesso sono vicini. Condividiamo con loro la nostra stessa aria, lo spazio che percorriamo a piedi, guardiamo lo stesso orizzonte: siamo quasi noi, ma in altre specie.

Nella visita di ieri a casa di mia madre abbiamo visto volare un piccolissimo pipistrello. Volava nervoso come fanno i pipistrelli sul far della sera. In lontananza, una persona si è richiusa alle spalle la porta del terrazzo condominiale dopo aver dato da mangiare a un gregge di piccioni, la riunione di cornacchie si è conclusa e il volo velocissimo di tre pappagalli verdi verso il nido ha decretato la fine della giornata per tutti i pennuti dell’isolato. Ora di preparare la cena anche per gli umani e di cercare di indovinare, anche oggi, cosa diavolo sta cucinando il vicino del secondo piano. Dall’odore sembra uno stufato al curry, ora cerco la ricetta online.


Immagine particolare da Joseph Cornell da Tate