Diritti residui: Facebook contro Apple in un lotta che ci vede sempre più sottomessi

Fra gli strani regali della fine di questo 2020, c’è stato un particolare annuncio pubblicitario, uscito sul The Wall Street Journal, sul New York Times, e sul Washington Post.

L’annuncio riguarda un aggiornamento dei sistemi operativi mobili di Apple (e, in particolare, su IOS 14), che obbliga gli sviluppatori a ottenere il permesso specifico dagli utenti qualora desiderassero tracciarli di sito in sito, attraverso domini web multipli.

Per quanto possa sembrare paradossale, l’annuncio è stato pubblicato da Facebook, che ha anche tirato su un sito web e la relativa campagna di comunicazione per cercare di dimostrare quanto l’aggiornamento di sicurezza “incriminato” risulti dannoso per i piccoli imprenditori locali, proprio quelli già così in difficoltà a causa dei grandi operatori del commercio elettronico, in tempi di COVID.

Facebook, in questo modo, sta a tutti gli effetti avviando una campagna di comunicazione in cui si propone come il protettore dei piccoli imprenditori contro Apple. (imbarazzo)

Alla Apple, ovviamente, non sono santi. Ad esempio Apple prende fino al 30% delle transazioni che avvengono nell’Apple Store, di fatto rendendo molto difficile sviluppare un business. Tante aziende affermano che si tratta di percentuali irragionevoli, arrivando a definirle predatorie.

Tuttavia la storia, recente e non, di Facebook e dei suoi comportamenti anticompetitivi, le infrazioni della privacy e il suo atteggiamento capace di mettere in pericolo i diritti e le libertà di centinaia di milioni di persone, rendono questo tentativo quantomeno bizzarro.

Diventa, infatti, evidente come la questione riguardi la difesa dei suoi modelli di business.

La campagna riguarda uno specifico parametro degli strumenti che Apple offre agli sviluppatori. Si chiama AppTrackingTransparency, e consiste nel permesso che le App devono richiedere agli utenti per poterli tracciare da un sito ad un altro, o attraverso diverse App, o per condividere le informazioni con terze parti.

Facebook sostiene che questo parametro limiterà enormemente la possibilità di beneficiare dei servizi di advertising targhettizzato, ovvero quelle pubblicità che vengono erogate in base ai dati di comportamento delle persone. Si suppone, infatti, che le grandi piattaforme, come Amazon e Apple, dispongano di per sé di enormi quantità di dati di questo tipo, tanto da costituire un vantaggio competitivo insormontabile per le piccole e medie imprese qualora gli utenti decidessero di non fornire il consenso al tracciamento.

Facciamo un paio di considerazioni.

A questo punto nella storia dell’evoluzione di queste grandi piattaforme, dovremmo già avere a disposizione gli strumenti per capire che si tratta dell’ennesimo attacco non solo alla privacy, ma anche alle piccole e medie imprese, per cui cambierebbe solo la connotazione dell’essere in balia di una piattaforma invece che dell’altra.

La nozione circa l’efficacia – a volte un po’ spaventosa – degli annunci targettizzati in base ai dati comportamentali è ormai consolidata nell’industria della comunicazione, anche nonostante il fatto che la maggior parte degli introiti aggiuntivi derivanti da questi tipi di annunci finisca nelle tasche di questi grandi broker, sia di quelli più famosi, ma anche di quelli meno noti.

Su questi due ragionamenti – e sui tanti altri che vi trovano origine – possiamo aprire un discorso più esteso, che riguarda innanzitutto il governo e la possibilità di gestire il potere in questi contesti, e poi circa i modelli che stiamo dando per scontati nel fare queste discussioni, e che invece meriterebbero di essere ripensati, anche radicalmente.

Dal primo punto di vista, in ogni caso non dovremmo trovarci nella condizione per cui alcune aziende si trovino a poter violare i nostri diritti fondamentali.

Oltretutto dovremmo chiederci i modi in cui sia possibile difendere le proprie libertà e i propri diritti. Ad esempio, in Europa, il GDPR è stata una grande e necessaria innovazione. Pur tuttavia, se riteniamo che tra le cose che meritano la nostra attenzione ci sia la necessità di trovare alternative all’attuale regime estrattivo dell’industria dei dati e della computazione, non potremo fare a meno di notare come il GDPR lo riconosca appieno, come unica possibilità: non lo mette mai in dubbio e, anzi, ti dice come devi “fare il pozzo”.

È necessario, a questo punto, accorgersi che queste minacce ai nostri diritti e alle nostre sono parte integrante di questi modelli estrattivi. E che se non ci mettiamo d’accordo, come società, su altri modelli da accogliere e promuovere, si tratterà solo di accettare e sottomettersi a una egemonia culturale piuttosto che ad un’altra. Google invece che Facebook invece che Apple invece che Amazon invece che qualcun altro che verrà dopo, ma che proporrà sostanzialmente lo stesso genere di modello estrattivo, in una battaglia perenne col solo scopo di distrarci da innovazioni ed evoluzioni più importanti e fondamentali, anche visto l’arrivo dei problemi planetari: la pandemia, il cambiamento climatico e gli altri.

Sant’Agostino distingueva fra Utor e Fruor.

Utor è l’utente, colui che usa e cui rapporto è basato sul dominio dell’usare, sulla mutuale estrazione di valore. È il nostro rapporto attuale con le grandi piattaforme.

Fruor è il fruitore, colui che gode, e la cui relazione è fondata nel dominio del godere, dell’espressione e della rappresentazione.

È la dimensione e la direzione in cui ci potremmo spostare.

I dati non come cosa da estrarre. Non come petrolio.

I dati come nostra autobiografia e nostra auto-rappresentazione.

La computazione non come pozzo di petrolio, con risultati disastrosi per tutto l’ambiente e i suoi abitanti.

La computazione come nuova alleanza, per esprimersi e rappresentarsi meglio, con i nostri compagni umani e non-umani: le aziende, le organizzazioni, le istituzioni; gli alberi, il mare, gli animali. Tutti possono generare dati, che possono suscitare nuove sensibilità, con cui entrare in relazione.

Noi, nel nostro piccolo centro di ricerca, stiamo facendo proprio questo, e lo stiamo chiamando il Nuovo Abitare.

Questo ennesimo episodio non è che una ulteriore espressione delle battaglie per il governo dell’attuale stato di egemonia culturale. Oggi Facebook si scaglia su Apple, domani sarà qualcun altro.

Ciò avviene, tra l’altro, in uno scenario in cui l’evoluzione culturale è già avvenuta, ma i suoi esponenti, i giovani, non hanno ancora avuto la possibilità di costruire le proprie forme di governo del potere. Anzi, le stanno in gran parte subendo.

Stiamo vivendo il passaggio dall’alfabeto all’immagine.

Le attuali forme di potere, di governo, di gestione, di istruzione e di organizzazione sono ancora, però, quelle dell’alfabeto. E così sono anche i diritti, le libertà e le rappresentazioni.

Che forma prenderanno “nell’immagine”? Come sarà fatta una democrazia, nell’”immagine”? Come sarà l’istruzione? Com’è fatta una istituzione?

Queste sono tutte domande che ci stiamo chiedendo troppo poco, partendo da troppi presupposti che con tutta probabilità sono caratteristici delle battaglie residuali di questo inizio secolo.

Nota: questo articolo nasce anche da una serendipita conversazione tra me, mia moglie Oriana Persico e Maurizio Cilli, incontrato per caso in una delle meravigliose piazze di Torino. Ringrazio tutt* e due.