Tornare a leggere: analisi della proposta di legge per la promozione della lettura in Italia

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È ormai da diversi anni e almeno un paio di legislature che si discute della possibilità di promuovere una legge sul libro e la lettura. Il 6 aprile 2018 è stato presentato alla Camera dei Deputati un testo di legge dal titolo “Disposizioni per la promozione e il sostegno della lettura”.

La proposta, che vede come prima firmataria l’Onorevole Flavia Piccolo Nardelli, sembra mettere d’accordo tutti gli schieramenti presenti in parlamento. Il testo, in carico alla VII Commissione Cultura, dovrebbe essere discusso in questi giorni, ma la questione paradossale è la spaccatura presente all’interno del mondo del libro, dove la legge sta suscitando malumori e contrarietà.

È sorprendente come, in un Paese diviso su molti temi, una legge riesca a riunire tutto l’arco parlamentare ma non gli addetti ai lavori, o meglio l’AIE (Associazione italiana editori), contro i restanti editori e librai indipendenti, che anzi nella proposta di legge vedono una buona occasione per dare respiro al mondo del libro e della lettura. Ma andiamo per gradi e cerchiamo di capire cosa vuol dire lettura in Italia.

Chiamare lettore qualcuno che legge un libro ogni dodici mesi è come definire alpinista chi una volta all’anno va a fare una gita in montagna

Promuovere una legge a sostegno della lettura è indispensabile, perché i dati statistici prodotti da Istat e AIE nel corso degli anni ci mostrano una situazione davvero preoccupante: in Italia legge un libro all’anno circa il 40% della popolazione. Questo dato si mantiene costante ormai da diverso tempo, variando di qualche punto percentuale, ma sempre verso il basso.

Chiamare lettore qualcuno che legge un libro ogni dodici mesi è come definire alpinista chi una volta all’anno va a fare una gita in montagna, insomma è un po’ un azzardo. I veri lettori in Italia sono coloro che vengono etichettati con l’aggettivo “forte”, ovvero uomini e soprattutto donne che leggono almeno un libro al mese e sostengono i due terzi del mercato editoriale italiano. I lettori forti sono circa il 13% della popolazione e si mantengono costanti nel tempo e nelle varie rilevazioni statistiche. È questa la percentuale di lettori in Italia e non il dato del 40%, che comunque rimane basso a fronte invece degli altri paesi europei.

Se andiamo ad analizzare la situazione dei nostri partner continentali, economicamente e socialmente più emancipati, quello che notiamo subito è l’alta percentuale di lettori: Svezia, Germania e Inghilterra si muovono tra il 70% e il 90% e godono di una situazione economica migliore rispetto a tutti quei paesi con un tasso di lettura inferiore al 50%. Non si tratta però di casualità, di abitudini o costumi differenti, ma del frutto di politiche e investimenti mirati nel corso degli anni.

A indici di lettura elevati corrispondono situazioni economiche migliori, questo perché il tasso di lettura di una nazione è direttamente proporzionale alla sua crescita economica. Senza cultura e senza lettura non si cresce.

Il libro è un oggetto democratico, costa poco ed è facilmente reperibile

Il primo motivo per promuovere una legge che salvaguardi la lettura è l’importanza che la conoscenza ricopre per lo sviluppo di un paese a livello umano, politico ed economico. Negli ultimi anni poi, il tema della cultura, e quindi della lettura, si è legato al concetto di benessere. Stiamo assistendo all’emergere di nuove teorie che aprono la strada al welfare della cultura, dove i temi dello sviluppo e della qualità dell’esperienza umana diventano punti essenziali della cura e del benessere dell’individuo, generando un miglioramento della qualità della vita percepita e andando a incidere in maniera positiva sul benessere sociale.

I libri e la lettura sono strumenti indispensabili di questo processo: il libro è un oggetto democratico, costa poco ed è facilmente reperibile, spesso e volentieri rappresenta uno dei primi tasselli che compongono la conoscenza di una persona.

In Italia non ci siamo mai preoccupati di promuovere in maniera incisiva una politica del libro, per questo motivo oggi è importante che si arrivi a definire un testo in grado di promuovere seriamente la lettura, ma le parole devono essere accompagnati da ingenti risorse, perché senza un serio e adeguato investimento una legge non serve assolutamente a nulla.

Per fare solo un esempio, l’Inghilterra, una delle nazioni con il più alto tasso di lettori al mondo, tra il 2011 e il 2015 per incoraggiare le persone a leggere ha investito nella promozione della lettura circa due miliardi e 400 milioni di sterline. Stiamo parlando di un investimento che equivale a quasi tre miliardi e mezzo di euro.

La proposta di legge presentata in parlamento ha una premessa iniziale in cui vengono elencati tutti i benefici della lettura e l’importanza che ricopre all’interno di una società, per poi passare ai vari articoli, che secondo l’ultimo testo promosso dalla Commissione sono in tutto tredici.

Il testo all’articolo 2 entra nel vivo della questione e prevede un Piano d’azione nazionale per la promozione della lettura. Il Piano (anche se non specificato, ma è l’unico finora redatto) nasce dalla collaborazione del Centro per il libro e la lettura (Cepell) e tutte le associazioni di categoria, oltre che vari ministeri e altri enti. Fu stilato per la prima volta nel 2015, dopo un anno di riunioni e, avendo partecipato come redattore e segretario ho un ricordo abbastanza netto della questione. Benché l’iniziativa fosse lodevole, era apparso chiaro sin dalle prime riunioni come tutti i protagonisti legati al mondo del libro formassero una realtà frammentata e ognuno fosse concentrato sulle proprie istanze.

Dovrebbe essere un diritto di ogni cittadino poter raggiungere a piedi la “propria biblioteca” e avere una libreria di riferimento

È chiaro che per un cambiamento reale ci sia bisogno di una forte sinergia tra tutte le componenti chiamate in causa, in grado di attuare delle politiche per la lettura e non a evidenziare e mantenere la propria fetta di potere. L’obiettivo non è vendere più libri, ma riuscire a creare nuovi lettori.

Il Piano, della durata di tre anni, prevede di: diffondere l’abitudine alla lettura, promuovere la frequentazione delle biblioteche e delle librerie, valorizzare e sostenere le buone pratiche di promozione della lettura sia di soggetti pubblici che privati, promuovere la formazione continua degli operatori del settore, promuovere la lettura infantile e tra i soggetti svantaggiati.

Il Piano prevede uno stanziamento di 3.500.000 euro e il suo controllo è affidato al Centro per il libro e la lettura. L’attuazione dello stesso è prevista a livello territoriale attraverso i Patti per la Lettura (già in uso in diversi comuni italiani tra cui Milano), uno strumento ampiamente utilizzato in Spagna, dove ha avuto un’importante ricaduta in merito alla formazione di nuovi lettori.

Viene introdotto inoltre il titolo di Capitale italiana del libro, che sarà assegnato sulla base di un programma presentato dalle varie città che si candidano e che vedrà per la vincitrice un budget massimo di 500.000 euro per la realizzazione delle iniziative.

La proposta di una capitale del libro è lodevole, ma c’è il rischio concreto che a vincere siano quelle città che hanno tassi di lettura elevati, un buon sistema bibliotecario e una rete di librerie, andando così a penalizzare tutte quelle aree del paese dove i libri non arrivano. Infatti, secondo la ricerca Book Desert, realizzata da Fabio Cerata – titolare della cattedra di geografia economica all’università La Sapienza di Roma – un lettore deve farsi in media mezz’ora di macchina per arrivare alla libreria più vicina. I paesi senza libreria corrispondono a circa il 60% del territorio italiano, per lo più aree interne già prive di servizi essenziali e dove vive il 17% della popolazione.

Per creare nuovi lettori c’è bisogno di almeno vent’anni di politiche serie e investimenti generosi pari a centinaia di milioni di euro

A suscitare lo scontro tra i vari addetti ai lavori è l’articolo 9 delle legge, dove si parla di sconto sul libro e la modifica della legge Levi, che ad oggi fissa il tetto massimo al 15% del prezzo di copertina. La nuova proposta, sul modello francese, fissa la percentuale massima di sconto al 5%, derogabile un mese l’anno al 20% e non sui libri editi negli ultimi sei mesi, mentre non cambia per i testi scolastici. A mettersi di traverso è proprio l’AIE con il suo presidente Levi, sostenendo che a rimetterci sarebbero i lettori deboli e le famiglie, poiché verrebbero disincentivati dall’acquisto di libri, mentre per ADEI (Associazione degli editori indipendenti) e ALI (Associazione librai italiani) è un’ottima manovra per aiutare le librerie indipendenti. Infatti la proposta di sconto al 5% vale anche per i colossi on line e per tamponare lo strapotere di cui godono sul mercato.

Ho lavorato per quasi cinque anni al Centro per il libro e la lettura, ho maturato una profonda conoscenza dei meccanismi del mercato editoriale, delle buone pratiche in giro per il paese e anche e soprattutto dei problemi che la lettura deve affrontare. Sono convinto che per creare nuovi lettori ci sia bisogno di almeno vent’anni di politiche serie e investimenti generosi pari a centinaia di milioni di euro.

Gli ambienti sui quali si può agire per un’inversione di rotta sono due: la famiglia e la scuola. La prima con azioni mirate di promozione della lettura infantile, la seconda invece con le biblioteche scolastiche e un’ora a settimana dedicata alla lettura nelle scuole, dove gli studenti possano misurarsi con i libri e discuterne insieme agli insegnanti. In tutto questo discorso è inoltre indispensabile potenziare la rete di biblioteche di pubblica lettura (quasi mai citate nella legge) e aprirne una in ogni quartiere.

Dovrebbe essere un diritto di ogni cittadino poter raggiungere a piedi la “propria biblioteca” e avere una libreria di riferimento. Promuovere una legge sul libro è importante, ma sostenere la lettura è un processo lungo e impegnativo, uno sforzo che però merita di essere sostenuto, dalla politica e dalla società civile tutta.