La missione di Informatici Senza Frontiere, un festival per l’accessibilità e l’inclusione

Non solo Medici Senza Frontiere e Reporter Senza Frontiere: dal 2005 c’è anche Informatici Senza Frontiere. Una realtà con base in Italia e attiva a livello internazionale che dal 21 al 23 ottobre organizza a Rovereto, in collaborazione con Impact Hub Trentino, il festival di ISF. Tre giorni di incontri dedicati ai temi dell’innovazione sociale e al suo impatto sulla società: dal rapporto tra l’essere umano e le intelligenze artificiali alle potenzialità del digitale per supportare disabili e anziani, fino all’uso etico delle nuove tecnologie. E ancora: big data, deep fake e l’utilizzo degli strumenti più innovativi a supporto dei paesi in via di sviluppo.



Dal 21 al 23 ottobre si terrà a Rovereto il festival organizzato dall’associazione Informatici Senza Frontiere, dedicato all’impatto sociale dell’innovazione tecnologica. Tre giorni di incontri, dibattiti, conferenze, laboratori per riflettere sulla tecnologia come fattore di inclusione e integrazione per anziani, disabili, giovani, migranti, e per tutte le persone che la travolgente mutazione tecnologica in atto rischia di marginalizzare.

L’edizione 2021 si intitola “D come digitale”, e incentra il proprio programma sulla partecipazione delle donne: un modo di rendere visibili le energie che spingono tecnologia e cultura scientifica verso l’inclusione e le pari opportunità; e di far emergere e valorizzare la presenza dell’intelligenza femminile nella costruzione dell’ecosistema digitale del futuro.

cheFare e Luca Sossella editore propongono un percorso di avvicinamento al festival con una serie di approfondimenti, dialoghi, recensioni che esplorano la frontiera lungo la quale linguaggi digitali e ridefinizione delle identità sociali si incontrano, interagiscono e si modellano reciprocamente. 


Proprio quest’ultima area, d’altra parte, è uno dei punti di forza di Informatici Senza Frontiere, “Il nostro è un ente del terzo settore che utilizza le tecnologie digitali per aiutare le persone che vivono in condizioni di disagio ed emarginazione”, spiega a cheFare il presidente Dino Maurizio. “Il nostro obiettivo è sfruttare la tecnologia per aiutare chi sta peggio. I nostri primi interventi sono per esempio avvenuti negli ospedali di alcune nazioni africane o nel più grande ospedale di Kabul durante la guerra in Afghanistan, a cui abbiamo fornito un sistema open source per la gestione degli ospedali, Open Hospital, che è stato anche premiato dall’ONU. Informatizzare un ospedale che si trova, per esempio, in Uganda non è una cosa banale, perché aiuta comunque a salvare vite umane. Utilizzando un sistema automatico è possibile per esempio sapere quando i farmaci vitali stanno per esaurirsi e avere in maniera più efficace i dati sui pazienti, permettendo così di curarli meglio”.

Ma le attività di ISF vanno molto oltre: sempre in Africa viene insegnata informatica di base agli insegnanti, mentre in Italia e in altre nazioni europee sono attivi corsi di formazione per facilitare l’inserimento di giovani migranti e rifugiati nel mercato del lavoro. Informatici senza frontiere organizza inoltre attività per aiutare gli anziani a usare gli smartphone, incontri con i ragazzi per sfruttare correttamente le nuove tecnologie o per apprendere il pensiero computazionale. Un’altra area è quella legata alle disabilità, per le quali si progettano e utilizzano applicazioni che possono aiutare i non vedenti a leggere il giornale o dispositivi che aiutano i musicisti a suonare il loro strumento anche dopo aver perso l’uso delle mani.

“Quella tecnologica è una rivoluzione che va a incidere sui meccanismi cognitivi e intellettuali”, prosegue Dino Maurizio. “Dalle intelligenze artificiali che in alcune situazioni si sostituiscono al nostro modo di pensare, alle notizie false che circolano in rete, agli episodi di dipendenza legati al modo in cui gli smartphone modificano i nostri meccanismi di comportamento: tutto questo rende importante la formazione digitale”. 

Una formazione che avviene infatti anche attraverso il festival di Rovereto, che proprio questi temi affronta nel modo più trasversale e intergenerazionale possibile: “Un tema per noi centrale è proprio come essere trasversali riguardo alla tipologia di pubblico”, spiega Dalia Macii, presidente di Impact Hub Trentino. “Ancora oggi trovare uno sguardo che vada bene per tutti è faticoso, ma lavorare in questa direzione ci permette di avere un’offerta eterogenea e sfaccettata, con un focus molto forte sulla necessità di acquisire maggiore consapevolezza relativamente a queste tematiche”. 

L’eterogeneità prende quest’anno le forme di un festival dall’elevatissimo tasso femminile. Da docenti accademici di Informatica come Paola Velardi e Rosa Meo, alla direttrice della Fondazione IBM Floriana Ferrara, fino all’esponente del prestigioso IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers) Pierangela Samarati e molte altre ancora: “Per come la vedo io, questa è la nostra solita manifestazione, quest’anno però la svolgiamo al femminile”, spiega Dino Maurizio. “Mi sembrava giusto che anche noi dessimo un contributo a migliorare la visibilità delle donne che operano in questo settore, anche nella speranza che diventino un esempio, perché tutti i dati dimostrano che dal punto di vista della presenza femminile nel settore tecnologico siamo ancora molto indietro”. 

Come spesso è stato sottolineato, aumentare la presenza femminile, per esempio, in un campo come quello della progettazione di algoritmi di intelligenza artificiale è fondamentale se si vuole che questi sistemi abbiano uno sguardo più inclusivo e plurale, laddove oggi rischiano troppo spesso di introiettare i punti di vista di programmatori uomini (e quasi sempre bianchi), con tutti i rischi provocati da questo inevitabile bias di fondo.

“In questo caso stiamo parlando di digitale, ma sono tanti gli ambiti in cui abbiamo costruito un immaginario che va in questa direzione, come è emerso anche nel campo della comunicazione e della grafica”, spiega Dalia Macii. “Questo è un momento storico in cui i discorsi sulle discriminazioni stanno avendo legittimazione, ma la verità è che il genere è ancora molto condizionante. Mettere in evidenza le esperienze virtuose di chi sta dietro a progetti importanti ed è di sesso femminile per me è importante. Può sembrare una cosa datata, ma non è così: questi elementi di sensibilizzazione sono ancora evidentemente necessari”. 

E questo vale ancor di più in campo informatico e tecnologico, come dimostra il fatto che lo studio universitario delle materie STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) continua a essere afflitto da un grave divario di genere. Tra i laureati STEM la componente maschile raggiunge quasi il 60%, mentre nel resto dei corsi di laurea le donne sono quasi due su tre. In particolare, nel campo dell’ingegneria gli uomini sono il 74%. E tutto ciò a fronte di performance più brillanti delle donne rispetto agli uomini. 

Non solo: una recente ricerca di Assolombarda mostra come in Italia solo il 12,6% delle studentesse superiori scelga un percorso universitario STEM e solo il 6,4% lavori in un settore in costante espansione come quello dell’Information and Communication Technology. Eppure, secondo uno studio della Commissione Europea, nel nostro continente c’è una carenza di circa 900mila tecnici ICT: se sul mercato del lavoro digitale ci fosse un numero pari di uomini e donne, il PIL annuo dell’UE potrebbe crescere di 9 miliardi di euro.

Quello tra uomini e donne non è però l’unico divario digitale che bisogna colmare, in un paese come il nostro in cui l’accesso alla rete è ancora fortemente diseguale: “Malgrado gli sforzi, siamo ancora molto indietro”, spiega Dino Maurizio. “Io vivo in un piccolo comune in collina e solo da pochi mesi ho accesso a una connessione decente, ma comunque non sufficiente a vedere, per esempio, un film in streaming. Questo problema infrastrutturale si trasforma però in un problema di accesso alla conoscenza”. 

Un altro divario legato all’accesso alla rete – e ai vari dispositivi necessari per sfruttarne al meglio le potenzialità – è invece stato messo in evidenza dalla pandemia e dal conseguente utilizzo della didattica a distanza: “Tutto questo ci ha dato ulteriore consapevolezza di quanto rapidamente il mondo possa cambiare, di come ci sia bisogno di diffondere costantemente la conoscenza, di quanto ci si debba aggiornare di continuo”, conclude Dalia Macii. “Il caso della DAD è stato significativo e ha mostrato come non si possa dare per scontato che ci siano conoscenza e capacità di accesso uguali per tutti. E questo vale anche per le scuole, che ci chiedono magari di preparare progetti innovativi legati all’uso dello smartphone dimenticandosi che nei loro regolamenti è ancora vietato entrare a scuola con lo smartphone. È anche un esempio dei paradossi che si possono creare quando c’è una mancanza di riferimenti chiari”.

Una mancanza che si sta faticosamente cercando di colmare a tutti i livelli: dal divario di genere alla formazione digitali dei più anziani, dalla diffusione delle infrastrutture al superamento di certe visioni che ormai risultano antiquate, fino alla maggiore consapevolezza degli aspetti positivi e negativi del nostro modo di approcciarci alle nuove tecnologie. Una consapevolezza che un festival come quello di Informatici senza frontiere aiuta a disseminare proprio quando ce n’è più bisogno.