Il pianeta è malato, ma la rivoluzione porterà bel tempo

Ogni settimana in collaborazione con la casa editrice nottetempo, cheFare pubblica una serie di interventi di filosofi, antropologi sul mondo naturale. Dopo mesi di reclusione forse è il caso di provare a capire che mondo abitiamo e soprattutto imparare a conoscerlo meglio. Oggi pubblichiamo un estratto dal saggio Il pianeta malato di Guy Debord (inedito del 1971)

Una società sempre più malata, ma sempre più potente, ha concretamente ricreato dappertutto il mondo come ambiente e scenario della sua malattia, come pianeta malato.

Una società che non è ancora diventata omogenea e che non è determinata in se stessa, ma sempre più da una parte che si pone al di sopra di essa, che le è esteriore, ha sviluppato un movimento di dominio sulla natura che non si è dominato esso stesso.

Il capitalismo alla fine ha portato la prova, con il proprio movimento, di non poter più sviluppare le forze produttive; e questo non quantitativamente, come molti avevano creduto di capire, ma qualitativamente. […]

Lo sviluppo della produzione si è fin qui interamente realizzato come compimento dell’economia politica: sviluppo della miseria che ha invaso e degradato l’ambiente stesso della vita.

La società in cui i produttori sono uccisi sul lavoro e non possono far altro che contemplarne il risultato dà loro ora apertamente da vedere e respirare il risultato generale del lavoro alienato in quanto risultato di morte.

Nella società dell’economia sovrasviluppata, tutto è entrato nella sfera dei beni economici, anche l’acqua delle fonti e l’aria delle città, vale a dire: tutto è diventato male economico, “negazione compiuta dell’uomo” che raggiunge ora la sua perfetta conclusione materiale. […]

La funzione ultima, confessata, essenziale dell’odierna economia sviluppata, nel mondo in cui regna il lavoro-merce che assicura tutto il potere ai suoi padroni, è la produzione d’impiego.

Si è dunque ben lontani dalle idee “progressiste” del secolo precedente sulla possibile diminuzione del lavoro umano grazie alla moltiplicazione scientifica e tecnica della produzione, che dovrebbe assicurare sempre più agevolmente la soddisfazione dei bisogni precedentemente riconosciuti da tutti come reali, e senza un’alterazione fondamentale della qualità stessa dei beni che risulterebbero così disponibili.

Si è ben lontani dalle idee “progressiste” sulla possibile diminuzione del lavoro grazie alla moltiplicazione scientifica e tecnica della produzione

Al momento attuale si fa tutto il resto per “produrre impieghi”, persino nelle campagne svuotate di contadini, vale a dire per utilizzare il lavoro umano in quanto lavoro alienato, salariato; e dunque si minacciano stupidamente le basi stesse della vita della specie. […]

La sedicente “lotta contro l’inquinamento”, per il suo lato statuale e legislativo, creerà innanzitutto nuove specializzazioni, servizi ministeriali, lavoretti [jobs], proliferazione burocratica. E la sua efficacia sarà del tutto commisurata a tali mezzi.

Non può diventare una volontà reale, se non trasformando il sistema produttivo attuale dalle fondamenta. E non può essere applicata con fermezza se non nell’istante in cui tutte le sue decisioni, democraticamente prese dai produttori in piena cognizione di causa, saranno controllate ed eseguite in ogni istante dai produttori stessi (per esempio, le navi riverseranno immancabilmente il loro petrolio in mare finché non saranno sotto l’autorità di veri e propri soviet di marinai). Per decidere ed eseguire tutto questo, bisogna che i produttori diventino adulti: bisogna che tutti si impadroniscano del potere.

L’ottimismo scientifico del XIX secolo è crollato su tre punti essenziali.

In primo luogo, la pretesa di garantire la rivoluzione come risoluzione felice dei conflitti esistenti.

In secondo luogo, la visione coerente dell’universo e anche semplicemente della materia.

In terzo luogo, il sentimento euforico e lineare dello sviluppo delle forze produttive.

Se dominiamo il primo punto, avremo risolto il terzo; e più tardi sapremo rendere affar nostro il secondo punto e ridurlo in nostro potere. Non bisogna curare i sintomi ma la malattia stessa.

Oggigiorno la paura è dappertutto: non se ne uscirà se non confidando nelle nostre forze, nella nostra capacità di distruggere ogni alienazione esistente e ogni immagine del potere che ci è sfuggita di mano.

Non se ne uscirà se non rimettendo tutto, eccetto noi stessi, al solo potere dei Consigli dei lavoratori – possessori e ricostruttori in ogni istante della totalità del mondo – vale a dire alla razionalità vera, a una legittimità nuova.

Le scelte terribili del futuro prossimo lasciano questa sola alternativa: democrazia totale o burocrazia totale

In materia di ambiente “naturale” e costruito, di natalità, di biologia, di produzione, di “follia” ecc., non ci sarà da scegliere tra la festa o il disastro ma, coscientemente e a ogni biforcazione, tra mille possibilità felici o disastrose, relativamente correggibili e, dall’altra parte, il nulla.

Le scelte terribili del futuro prossimo lasciano questa sola alternativa: democrazia totale o burocrazia totale. Coloro che dubitano della democrazia totale devono fare degli sforzi per provarla a se stessi, dandole l’occasione di mettersi alla prova marciando; oppure non resta loro altro che comprarsi la tomba a rate, perché “l’autorità, la si è vista all’opera, e le sue opere la condannano” (Joseph Déjacque).

“La rivoluzione o la morte”, questo slogan non è più l’espressione poetica della coscienza in rivolta, è l’ultima parola del pensiero scientifico del nostro secolo. Si applica alle minacce della specie come pure all’impossibilità per gli individui di aderire a qualcosa.
In questa società in cui, com’è noto, il suicidio progredisce, gli specialisti hanno dovuto riconoscere, con un certo fastidio, che era ricaduto quasi a zero in Francia nel 1968.

Quella primavera ebbe anche un cielo pulito, senza esattamente essere andata all’assalto per questo, dato che alcune automobili erano bruciate e tutte le altre non avevano benzina per inquinare. Quando piove, o quando ci sono nuvole di smog su Parigi, non dimenticate mai che la colpa è del Governo. La produzione industriale alienata porta la pioggia. La rivoluzione porta il bel tempo.