Il nostro futuro e quello del Pianeta è nella Partecipazione, non esiste un ‘Planet B’

Partecipa a laGuida, il Festival Itinerante dei nuovi centri culturali di cheFare. Scopri il programma.


Questo articolo fa parte dei contenuti de laGuida, il festival itinerante dei nuovi centri culturali. Ogni tappa de laGuida riunisce i nuovi centri culturali di una determinata zona d’Italia in rassegne online e dal vivo di conferenze, seminari e laboratori per sviluppare nuove competenze, costruire assieme un orizzonte di senso comune e costruire un dialogo con chi costruisce l politiche culturali e sociali. Il tema della prima tappa de laGuida – dedicata ai nuovi centri culturali di Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta – è Partecipazione. E lo indaghiamo anche con le righe che seguono.


In poco meno di un secolo il rapporto di forza che lega l’umanità alla Terra è stato sostanzialmente ribaltato, non tanto in un’ottica di prevaricazione – la Terra esisteva prima dell’uomo ed esisterà anche successivamente, nel caso -, ma nella capacità di influenzare la possibilità di viverci sì.

Se solo cento anni fa era inimmaginabile che l’uomo potesse essere in grado di rendere totalmente invivibile per sé l’habitat naturale già con l’avvento dell’energia nucleare si è reso evidente che di fronte a madornali errori di carattere tecnico come politico, l’eliminazione dalla faccia della Terra degli esseri umani era una cosa totalmente plausibile.

Negli ultimi trenta anni si è riusciti ad andare oltre trasformando quello che poteva ritenersi un’episodio letale in quotidianità. Lo stile di vita oggi possibile per oltre sette miliardi di esseri umani rende infatti certa l’estinzione, salvo qualche radicale cambiamento da mettere in atto già da subito e che riguarda e riguarderà per forza di cose ognuno di noi.

La situazione dunque non è drammatica, ma quasi certamente patologica e nello specifico l’umanità globale oggi ricorda nei suoi atteggiamenti, nelle sue forme più o meno palesi di censura e auto censura il crollo imminente, sempre prevedibile, ma spesso inarrestabile dei grossi imperi del passato, delle grandi monarchie come delle grandi ideologie di massa che hanno costellato la modernità fino agli sgoccioli del Novecento.

Se si potesse osservare dall’alto o meglio da fuori l’atteggiamento dei governi e delle nazioni che guidano e indirizzano (chi più chi meno) la vita degli esseri umani ci renderemmo conto che tutti noi siamo a bordo della nave dei folli, che chi tiene il timone non sa cosa fa e in caso contrario non lo sta per nulla tenendo. Come fosse più sensato e no solo semplice berci sopra un po’ e proseguire con le danze.

Tuttavia se si abbandona il fascino tetro, ma indiscusso di una decadenza tragica e inevitabile quanto possibilmente elegante – come solo lo scialare garantisce – possiamo notare come qualche possibilità di salvezza esista ancora. Non tutto è perduto e in sostanza molto, diciamo pure quasi tutto dipende da noi. Per la prima volta nella storia, l’umanità ha l’enorme potere di decidere liberamente senza il terrore del fuoco o dell’acqua e di qualsiasi altro evento naturale se vuole vivere oppure preferisce scomparire dalla faccia della Terra.

Il potere è tutto nelle nostre mani, nella consapevolezza di cosa può salvarci e cosa no. Al di là dei gusti, dello stile, esistono pratiche ormai strettamente legate alla possibilità di continuare a esistere come umanità prima ancora che come società, quindi dinamiche che fanno parte ancestralmente del nostro, è proprio il caso di dire “modo di stare al mondo”. Riacquistare quella sorta di sensibilità primaria rispetto all’esistenza diviene così fondamentale anche più di una consapevolezza etica che rischia di scontrarsi e uscire sconfitta da esigenze contingenti e sociali.

Come ben descrive nel suo illuminante libro Mike Berners-Lee, No Planet B, è necessario rivedere le forme e i concetti per la nostra evoluzione:

“Dobbiamo vincere abitudini radicate che nel corso dei secoli hanno subito un profondo processo di logoramento. Un modo di interpretare questa necessità è affermare che abbiamo bisogno di riequilibrare la nostra evoluzione. Il nostro ingegno tecnologico ci ha condotto a una situazione in cui dobbiamo evolverci anche in altri modi. La vita potrà essere migliore di quanto non sia mai stata, ma ciò non accadrà se non saremo in grado di equilibrare la nostra genialità tecnica con lo sviluppo di alcune competenze cognitive molto diverse e complementari che a essa si accompagnino.”

Il lavoro da fare non è facile e richiede la massima priorità, non sta per scadere il tempo, ma di certo il tempo sta cambiando e a breve rischia di essere troppo invivibile per poter pensare di salvarci ancora.

Siamo abituati anche retoricamente ad immaginarci come dentro ad un film, ad una realtà parallela, ma comunque altra da cui è possibile prendere le distanze. Così come possiamo definire l’attuale situazione con lo sguardo critico di chi non è coinvolto: diciamo che siamo sul Titanic ma non ci stiamo per davvero, diciamo che è come Chernobyl, ma non sta capitando a noi.

Questa volta invece sta capitando a noi, ad ognuno di noi contemporaneamente. Al punto che la colpa, le responsabilità vanno in secondo piano perché chiunque pagherà il prezzo più alto, dovunque si trovi, chi prima e chi dopo.

Siamo figli di uno sguardo che sa interpretare le cose e portare innovazione espandendosi, ora invece non è più possibile sfuggire. Siamo nel qui e ora, siamo adesso, siamo noi e a nessuno è consentito immaginarsi altro.

Il tempo stesso della narrazione si è esaurito, l’immaginazione lascia il passo ad una realtà non più vera o più sorprendete, ma evidentemente unica. Il verosimile è ormai una storia vecchia a cui non si può più credere. E se è così, se l’immaginazione è totalmente depotenziata diventa fondamentale dotarsi di strumenti in grado di reindirizzarla, restituendole un ruolo di visione e guida e non più uno stolto rifugio da una realtà drammatica.

E in tal senso il libro di Mike Berners-Lee, professore dell’Institute for Social Futures della Lancaster University ed esperto di sviluppo sostenibile è un vero e proprio libro magico, anzi un manuale magico. Un testo ricchissimo di dati e di riferimenti, ma anche di soluzioni, di pratiche e di strumenti con cui reagire. No Planet B è una guida pratica per salvare il mondo come recita il sottotitolo, ma è soprattutto un manuale per ricostituire l’immaginazione globale. Vedere un futuro possibile disancorandolo dal nichilismo cinico di un capitalismo autoreferenziale e patologicamente narcisista.

Suddiviso in nove macro capitoli, il testo prende in analisi settori ben precisi della vita umana: dal cibo – forse il più rilevante -, fino all’economia, alla vita domestica, all’uso dell’energia. Il sistema dei trasporti come i valori sociali, nulla è lasciato al caso e ogni aspetto viene messo in discussione.

Ogni ambito della vigta umana è analizzato anche in maniera se vogliamo semplicistica, ma non conta perché l’utilità sta nel mostrare sempre e comunque una possibile via, una pratica alle volte anche dolce, quotidiana, eppure capace di agire come grimaldello ridefinendo priorità e dando corpo ad un piacere alla vita tutto da riscoprire.

No Planet B è un testo che dovrebbe essere letto da chiunque, messo sul comodino come un breviario perché possa arrivare fino alle stanze, fin dentro alle orecchie dei governi delle nazioni troppo spesso distratti da futili piani redatti da tristi capi azienda o impegnati in gite fuori porta presso residenze storiche.

“Tutte le prove e le analisi ci dicono che, affinché l’uomo prosperi nel corso dei prossimi cent’anni e oltre, avremo bisogno di imparare a essere quanto più possibile rispettosi, sinceri e gentili verso gli altri.”

Sembra ovvio, sembra naturale e lo è, ma non è ancora prioritario. Il covid-19 è come un banco prova in cui si sono sfidate diverse pulsioni, diverse possibilità: alcune fatte di rispetto, sincerità e gentilezza altre no. Far prevalere questi tre valori è la necessità oggi e nei prossimi anni.

Sarà certamente utopico, forse ingenuo, ma lo è anche credere che l’umanità non si estingua se continua verso la sua folle corsa fatta di violenza, diseguaglianza e consumo energetico. Questa volta il realismo e l’utopia vanno a braccetto, non è mai successo prima e potrebbe essere un buon segno.

“La spiritualità ha attraversato un periodo in cui è stata così fuori moda da indurmi a pronunciare la parola con qualche trepidazione. Oggi, tuttavia, è necessario rivedere criticamente la tendenza ad un riduzionismo dominato dalla tecnoscienza che ha caratterizzato gli ultimi decenni. È un modo di pensare non più attuale, che appartiene al passato. Deridere tutto ciò che non può essere dimostrato scientificamente non è più un indice di intelligenza. Sappiamo già che la scienza da sola, per quanto offra un quadro di riferimento dotato di coerenza interna, ci porta fuori strada. Può spiegare i comportamenti ma non la senzienza.”

Non è più pensabile delegare ad altri la nostra salute, la nostra possibilità di esistere. Anzi, la delega come l’informazione e la condivisione devono riacquistare una qualità precisa e aderente alla nostra essenza.

Mike Berners-Lee chiude il suo libro non a caso aprendolo, chiedendo di contribuire dove non sia stato detto tutto, dove ci siano manchevolezze, come evidente. Un libro che è una possibilità e dunque un progetto che non può fermarsi all’interno di valutazioni slegate le une dalle altre.

Infine l’ultima parola da recuperare è non a caso partecipazione. La partecipazione ha senso se è moderata, selezionata, in pratica processata per un fine comune. No Planet B è un libro che è dunque un manuale e una guida, ma anche un progetto e come tale rappresenta una grande occasione di riflessione e di pratica allo stesso tempo. Un esercizio per la nostra salute da svolgersi in condivisione, rafforzando l’azione delle comunità, ridefinendo ruoli e competenze. Restituendo in sostanza una reale gerachia del piacere non più slegata dalla competenza. Mai come oggi la massima di Pierre de Coubertin risulta attuale, perché partecipare è vincere. Mortale tirarsi indietro